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di Alberto Riccadonna (La Voce del Popolo – domenica 12 giugno 2009)

“Il reato di clandestinità esprime un inaccettabile rifiuto nei confronti dei popoli migranti”

A pochi giorni dal varo della nuova legge italiana sulla “sicurezza” abbiamo raccolto i commenti del giurista torinese Rodolfo Venditti, magistrato dal 1950 al 1993 e già docente di Diritto penale militare all’Università degli Studi. La notorietà del prof. Venditti – che fu tra l’altro dirigente regionale dell’Azione Cattolica – si estende da decenni in tutt’Europa soprattutto per i suoi studi sull’obiezione di coscienza al servizio militare e per il suo costante sforzo di affiancare la riflessione etica a quella giuridica.

Prof. Venditti, la nuova legge sulla sicurezza istituisce in Italia per la prima volta il reato d’immigrazione clandestina: chi entra o soggiorna illegalmente in Italia sarà d’ora innanzi punibile con un’ammenda (5-10 mila euro) e si terrà un processo davanti al giudice di pace per l’espulsione dal Paese. Quali valutazioni su questa nuova fattispecie di reato? È un reato che trova riscontro negli altri ordinamenti occidentali?

Va premesso che la nuova legge è un documento di 128 pagine che si occupa delle materie più disparate: dalla immigrazione alla mafia, dalle patenti di guida all’accattonaggio, dallo scioglimento dei consigli comunali all’imbrattamento degli edifici, dalla riforma di alcune norme del codice penale alla prevenzione di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, ecc….. La norma che istituisce il reato di immigrazione clandestina (detto anche “di clandestinità”) esprime in chiave giuridica un rifiuto netto (e, a mio avviso, gravissimo) che la società italiana, facente parte del cosiddetto “primo mondo” (sviluppatosi all’insegna del benessere economico e del consumismo), oppone allo straniero extracomunitario migrante, che proviene dal cosiddetto “terzo mondo” sottosviluppato e che è in cerca di una vita più umana rispetto a quella che ha sperimentato nella propria terra natale. È in atto un epocale movimento di popoli, provenienti dal “terzo mondo” e cioè, in massima parte, dall’Africa, dalla Cina, dal Sudamerica. Esso è conseguenza di squilibri demografici ed economici. In particolare l’Africa – da cui provengono le più recenti ondate migratorie verso l’Italia – è stata oggetto di uno sfruttamento plurisecolare da parte degli europei e dei nordamericani: uno sfruttamento disumano che non ha avuto alcun riguardo per le tradizioni di quei popoli, li ha depauperati delle loro risorse naturali, e tuttora monopolizza le grandi ricchezze di quei Paesi (dal petrolio ai diamanti). Vedere in ciascuno di quegli uomini e di quelle donne migranti un potenziale nemico e chiudergli la porta in faccia è un gesto disumano. Oltre tutto, è un gesto autolesionista, perché sappiamo bene che tanti umili lavori di cui la nostra società necessita sono oggi rifiutati dagli italiani e vengono accettati soltanto da stranieri immigrati. Non sono un esperto di diritto comparato, ma – per quel che so – non mi risulta che in altri Paesi occidentali sia previsto un reato di immigrazione clandestina. S’intende che se un immigrato commette un reato previsto dalla legge del Paese in cui si trova, verrà giudicato come viene giudicato qualunque cittadino di quel Paese che commetta un reato. Ma è assurdo che una semplice immigrazione non autorizzata venga punita come reato. Il massimo di sanzione non può essere che la espulsione. Il di più è xenofobia.

Vari esponenti della Chiesa Cattolica ritengono che il nuovo reato (e altri contenuti della legge: per esempio la schedatura dei clochard) siano segnali di una involuzione della legge italiana in senso anti-solidale e xenofobo. Lei concorda?

Concordo pienamente con quegli esponenti della Chiesa cattolica (come, ad esempio, mons. Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti) che ritengono “non umana” e “non cristiana” una normativa di tal genere e che mettono in evidenza come essa sia in contrasto con i “forum” internazionali degli ultimi anni, i quali si sono pronunciati a favore della utilità e positività della immigrazione. Contrastano con tale orientamento internazionale anche parecchie altre norme di questa legge, le quali pongono a carico degli immigrati pagamenti di somme non indifferenti in occasione di pratiche varie, relative al rinnovo del permesso di soggiorno o alla richiesta di cittadinanza, ed introducono altresì fortissime restrizioni in materia di locazioni e di ricongiungimenti familiari.

La legge sulla sicurezza apre le porte a interventi di giustizia “fai da te” (le ronde popolari, lo spray al peperoncino per autodifesa…). Sono interventi compatibili con i principi che ispirano l’ordinamento italiano? Lei come li giudica?

Sentir parlare di “ronde popolari” suscita in me un istintivo disagio. Mi evoca il ricordo delle “ronde” fasciste che segnarono la mia infanzia e la mia prima giovinezza, quando, durante la seconda guerra mondiale, le ronde avevano, tra gli altri compiti, quello di garantire l’oscuramento notturno delle città minacciate dai bombardamenti: urlavano dalla strada se trapelava uno spiraglio di luce ed erano capaci di sparare a quella finestra terrorizzandoci tutti. Oppure le ronde naziste, in cui potevi incappare per strada ed essere caricato su un camion che ti portava in un campo di lavoro in Germania senza che la tua famiglia sapesse più nulla di te. Certo, qui la “ronda” ha un significato diverso: vorrebbe essere una pacifica guardia, la cui presenza scoraggia i malintenzionati e ti dà un aiuto avvisando l’Autorità competente se ci sono situazioni sospette. Inoltre si tratta di persone disarmate, in massima parte provenienti da una esperienza di polizia. E questo è positivo. Non mi sentirei di parlare d’una “giustizia fai da te”. Ma chi può escludere che fra quelle persone ci sia qualche testa calda che abbia voglia di menar le mani? O che abbia qualche idiosincrasia per i neri, i rossi o i gialli? La xenofobia è una malattia oggi assai diffusa in Italia. Confesso che qualche preoccupazione ce l’ho.

I vertici delle associazioni di magistrati e di avvocati sostengono che la nuova legge “fa la voce grossa”, ma è solo di facciata, perché è difficilmente applicabile e intaserà i tribunali. Hanno ragione?

Penso che abbiano ragione. Anzitutto, mi fa sorridere il fatto che una maggioranza politica che è in aperto conflitto con la magistratura e che si è attivamente adoperata per sottrarre i propri comportamenti alle sanzioni legislativamente previste (ha abolito reati come il “falso in bilancio”, ha ridotto scandalosamente i tempi di prescrizione dei reati, ha inventato impunità mediante il “lodo Alfano”, ecc.), si rivolga con questa legge alla magistratura come alla extrema ratio a cui affidare la efficacia delle nuove norme sulla immigrazione. Ma – ironia a parte – l’attuale legislatore non si è reso conto, forse, che le Procure della Repubblica e i Giudici di pace che dovranno occuparsi di questo reato saranno sommersi da masse enormi di processi per immigrazione clandestina, con grave danno per il funzionamento della giustizia, già gravata da una enorme sproporzione tra carico di lavoro e carenze di personale giudiziario. E tutto ciò a quale scopo? Quello di emanare una condanna al pagamento di una ammenda, cioè di una somma in denaro (da 5 mila 10 mila euro!), che il clandestino condannato non sarà certamente in grado di pagare. Conseguenza: l’intasamento degli uffici giudiziari, con innegabile danno per i cittadini in attesa di giustizia.

La società civile indubbiamente esprime una domanda di maggiore sicurezza sociale. La legge appena approvata, in definitiva, risponde o non risponde?

Sì e no. Non è una risposta sibillina. È una risposta dimensionata sulla enorme quantità di disposizioni che questa legge contiene. Dopo averne messi in evidenza alcuni gravi difetti, provo ad elencare alcuni pregi, cioè alcune norme che a me paiono positive. A) La previsione di nuove aggravanti del reato di rapina: a) fatto commesso all’interno di mezzi pubblici di trasporto; b) fatto commesso a danno di chi stia fruendo o abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici per il prelievo di denaro. B) In tema di processi per mafia: a) art.41 bis reso più rigoroso e severo; severità estesa anche ai colloqui dei condannati con i loro parenti; b) esclusione dalle gare di appalto delle vittime di concussione e di estorsione aggravata che non abbiano denunciato i reati di cui sono state vittima (salvo il caso di “stato di necessità” o di “legittima difesa”). C) Non sono soggetti a revoca del permesso di soggiorno o alla espulsione gli stranieri che si trovino in Italia per asilo politico. Provvida disposizione; ma qui ci si imbatte nel fatto che in Italia non esiste ancora una legge sull’asilo politico. Tale lacuna dovrebbe essere urgentemente colmata. D) Finalmente, nel reato di rapina (art.628 codice penale) non sarà più possibile al giudice dichiarare la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti o la equivalenza tra le une e le altre, cioè – in pratica – togliere ogni rilevanza delle aggravanti nel computo della pena, facendole sparire in forza delle attenuanti. Tale riforma mi pare giusta, dato che le aggravanti previste per il reato di rapina attribuiscono a questo reato una connotazione di accentuata pericolosità sociale, della quale si deve tener conto nel determinare l’entità della pena. Si potrebbe obiettare: ma il giudice non era mica obbligato a dichiarare la prevalenza delle attenuanti. No, non era obbligato; ma tutte le volte che egli negava la prevalenza delle attenuanti, la difesa ricavava da ciò un motivo di appello o di ricorso per Cassazione. Questa nuova norma toglie dunque spazio ad inutili cavilli. E) Le severe disposizioni riguardanti chi imbratta i muri degli edifici e i fianchi dei treni e degli autobus pubblici: occorre reprimere con energia il comportamento di chi rivela un sovrano disprezzo per i beni pubblici e, comunque, per i beni altrui, compiendo atti di demenziale vandalismo che sporcano la città, i suoi edifici, i suoi monumenti, producendo grave danno, anche economico. Sembra una norma bagatellare, ma non lo è: è una importante norma di civiltà. L’ampiezza (piuttosto farraginosa) del testo legislativo in questione suggerirebbe molti altri spunti di riflessione. Ma il discorso diventerebbe lunghissimo.

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Chicco di senape (www.chiccodisenape.wordpress.com) è un gruppo di gruppi ecclesiali torinesi. Da una donna che ne fa parte viene questa meditazione, condivisa e fatta propria dal coordinamento, sul vangelo che giudica l´affanno pagano della nostra società. È questa paura che porta a leggi contro la giustizia, come quella del 2 luglio, cosiddetta sulla sicurezza, discriminante a danno degli immigrati. Il testo ci richiama all´impegno di solidarietà, si oppone alla politica dell´esclusione, chiede ai pastori della chiesa che parlino con forza evangelica per incoraggiarci tutti nella giustizia.

Nel sesto capitolo del Vangelo di Matteo meditiamo queste parole: 

[25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? [26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? [27]E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? [28]E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. [29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. [30]Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? [31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? [32]Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. [33]Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [34]Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

È un orizzonte di tranquilla fiducia nel Padre lo stile di vita a cui siamo chiamati come discepoli. Il mondo in cui siamo immersi, al contrario, ci vede continuamente correre ed affannarci per ciò che mangiamo, indossiamo, beviamo.

“Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia”.

Siamo in un mondo in cui ogni giorno tutto pressa per farci preoccupare, per farci reagire in termini di chiusura e di paura ai cambiamenti sociali e culturali che la storia ci invita a vivere.

“Ad ogni giorno basta la sua pena”.

E invece tutto ci sospinge verso atteggiamenti ansiosi e comportamenti diffidenti. Davanti alla reazione cosi pagana che il nostro Paese evidenzia nel momento in cui declina il sacrosanto diritto a vivere nella sicurezza solo per chi sicuro lo è già, noi vogliamo ricordare, con il nostro impegno di accoglienza, solidarietà, giustizia, che i credenti camminano come il cieco Bartimeo sulla strada dietro a Gesù, sapendo che l´unico peccato che non sarà mai perdonato è quello di non aver riconosciuto il Signore laddove si nascondeva: “ero povero e non mi avete accolto.”

Diciamo pertanto in nome del Signore Gesù che ci opponiamo a una modalità esclusivista che rifiuta la coesione sociale.

Chiediamo che i Pastori si pronuncino con forza e coerenza evangelica dando voce alla coraggiosa e continua opera dei credenti che anche nelle parrocchie e nelle associazioni ecclesiali di questo Paese si adoperano per ogni donna e ogni uomo che tendono la mano e chiedono misericordia e giustizia.

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Messa Vigiliare della V Domenica dopo Pentecoste concelebranti i Vescovi provenienti da Europa, Africa, Asia e America latina partecipanti alla Delegazione dei Cardinali, dei Vescovi e dei Rappresentanti di Organizzazioni, Associazioni e Movimenti cattolici del Sud e del Nord del mondo in occasione del G8 – Milano, Duomo – 4 luglio 2009

Omelia 

L’umanità ha bisogno di un “cuore nuovo” – La speranza di Cristo, fonte di solidarietà 

Carissimi,

abbiamo aperto questa celebrazione vigiliare con l’ascolto dell’annuncio della risurrezione del Signore. Un annuncio di speranza, anzitutto: in Gesù infatti risorge non solo la sua umanità, ma grazie a lui all’intera umanità è ridata una speranza nuova, capace di varcare persino i confini della morte.

Di questa speranza e di questa vita nuova – che anche oggi ci vengono promesse e donate – siamo chiamati ad essere non semplici uditori, ma annunciatori, testimoni e promotori. Si tratta infatti di una speranza troppo grande perché possa rimanere confinata dentro di noi; è invece offerta “per voi e per tutti”, come diremo tra poco, è per l’intera umanità!

Ci è chiesto di risalire al fondamento di questa speranza, affinché non venga intesa in modo riduttivo – quasi un semplice appello emotivo che sfiora appena la superficie del nostro animo – ma inquieti la nostra coscienza, smuova in profondità le nostre decisioni e le nostre scelte e susciti in noi e negli altri un impegno responsabile, deciso e costante. 

1. Le pagine della Sacra Scrittura che abbiamo ascoltato ci parlano di una speranza che viene da lontano. Il libro della Genesi, cioè delle origini del mondo e dell’umanità, ci ha mostrato come la fedeltà di Dio, che è da sempre, si manifesta anzitutto come alleanza con Abramo e insieme con l’intera sua discendenza: «Ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni […] e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te» (Genesi 17,4.6-7).

Il testo sacro ci rivela un legame profondo, radicale, indissolubile che in Abramo Dio istituisce in modo definitivo con l’umanità. E’ un legame non di tipo contrattuale, perché Dio non dona in vista di una restituzione (peraltro impraticabile), ma dona, ama e amerà per sempre e senza condizioni ogni uomo, ogni popolo e nazione: così si è manifestato in Gesù, venuto – come afferma il vangelo che poco fa abbiamo ascoltato – «non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Giovanni 12,47).

Dio mette in gioco se stesso per primo, crea in Abramo un’alleanza unilaterale; domanda però che l’amore con cui ci raggiunge non sia gelosamente trattenuto da noi, ma attraverso di noi possa arrivare responsabilmente a molti altri. Dio non si attende “restituzioni”; vuole però che, in forza del suo patto d’amore, riconosciamo con gioia e serietà la fraternità che tutti ci lega: una fraternità universale che non può più essere solo enunciata in modo vago o solo sussurrata in contesti lontani da quelli in cui si decidono le sorti dei popoli e il loro sviluppo e si progettano i passi del riconoscimento di una vera dignità di tutti e di ciascuno. I diritti dei deboli non sono diritti deboli! Sono diritti che vanno proclamati, riconosciuti, difesi e promossi! Con tutte le nostre forze! Ciò vale per i singoli e ciò vale per i popoli, vale per l’unica grande famiglia umana.

In altre parole, potremmo dire che in ogni nostra scelta – ma soprattutto nelle decisioni che riguardano la società o il mondo – ci troviamo di fronte ad un’inquietante, drammatica alternativa: scegliere in vista del proprio interesse o in vista del bene comune, di tutti, e di tutti nel loro insieme. Sì, la prospettiva dischiusa dall’alleanza in Abramo ha purtroppo come alternativa la logica perversa di Caino, e quindi il mancato riconoscimento della fraternità. Alla domanda del Signore: dov’è Abele, tuo fratello? Caino rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Genesi 4,9). 

2. Siamo così introdotti ad una riflessione di particolare attualità. Esiste, ed è quanto mai diffuso, un egoismo che potremmo chiamare “sociale”, un egoismo che, dietro il velo dell’apparente difesa dei propri diritti, nasconde visioni quanto mai ristrette, di chiusura, di vera e propria contrapposizione. E se queste visioni vengono lasciate cadere è solo quando si è certi che gli altri possano essere funzionali ai propri interessi. E così, sia nei comportamenti individuali sia in quelli pubblici, l’apertura agli altri e il riconoscimento dei loro giusti diritti spesso cambia a seconda che gli altri rientrino o meno nei nostri progetti e ci possano recare qualche vantaggio.

Ma questa è una forma di ingiustizia accuratamente ricoperta di apparenti “buone” ragioni. Troppo spesso l’ingiustizia si diffonde nascondendosi sotto il velo dell’apparente difesa dei propri diritti! Eppure, per chi è onesto, non è difficile distinguere la vera dalla falsa giustizia: il criterio principale è riconoscere se è compatibile con i diritti di tutti o di alcuni soltanto.

Questo nostro tempo, tuttavia, ci offre non poche possibilità di dare risposta a questo “egoismo sociale”, o collettivo, che confonde la difesa degli interessi di alcuni con il riconoscimento del bene e dei diritti di tutti, l’unico – quest’ultimo – in grado di garantire una pace autentica.

L’incontro tra i Leader del G8, che avverrà nei prossimi giorni nel nostro Paese nella città dell’Aquila, è un’opportunità che ci è data per far sentire la voce che esprime la coscienza cristiana che avverte come proprie le necessità di molti popoli del mondo, che purtroppo non hanno voce. Di questa “non-voce” la nostra coscienza vuole farsi carico!

In piena sintonia con la Lettera delle Conferenze Episcopali Cattoliche ai Leader dei Paesi del G8 dello scorso 22 giugno, non posso non riaffermare con forza, in primo luogo, che le conseguenze dell’attuale crisi – la cui responsabilità e le cui origini sono dei Paesi più ricchi – non devono alla fine ricadere pesantemente sui Paesi più poveri. In questo senso lo sviluppo dei popoli deve essere considerato questione assolutamente prioritaria e da condividere da parte di tutti: è da porsi ai primi posti nell’agenda di chi ha responsabilità nell’ambito dell’economia mondiale.

Come scrivono nella lettera citata i Presidenti delle Conferenze Episcopali ai rispettivi Leader: “I Paesi Membri del G8 dovrebbero far fronte alle loro responsabilità nella promozione del dialogo con le altre maggiori potenze economiche per aiutare e prevenire ulteriori crisi finanziarie”. E proseguono: “Inoltre dovrebbero onorare i loro impegni nell’aumento degli Aiuti allo Sviluppo per ridurre la povertà globale e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, specialmente nei Paesi Africani”. Lo sviluppo, oltre che esigenza imprescindibile di ogni persona e di ogni popolo, è premessa indispensabile per la pace. E lo sviluppo economico, che pure non rappresenta ancora quello sviluppo integrale dell’umanità che tutti auspichiamo, ne è comunque l’indispensabile premessa.

In questo senso, la cancellazione del debito estero, la necessità di contrastare gli effetti devastanti dovuti ai cambiamenti climatici, l’esigenza di una governance globale dell’economia e della finanza come pure di una nuova regolamentazione del mercato delle risorse e dei beni a raggio internazionale, sono altrettante priorità che non ammettono dilazione alcuna. E se al riguardo si sono decisi degli interventi, è il caso di dire che pacta sunt servanda!

Milioni di persone al mondo subiscono ingiuste e drammatiche sofferenze, costrette come sono a migrare a causa delle difficili – se non proibitive – condizioni di vita nei Paesi d’origine. Molte di queste sofferenze sono provocate ai migranti talvolta da discutibili provvedimenti messi in atto da quei Paesi più ricchi che dovrebbero maggiormente impegnarsi in percorsi di accoglienza e integrazione seri, ragionati e rigorosi. Sono sofferenze che devono essere risparmiate ai migranti e alle popolazioni dei Paesi poveri realizzando con lungimiranza e coraggio gli interventi specificati dall’Agenda della speranza. Potrà avvenire così la desiderabile giusta regolazione del fenomeno migratorio e dei problemi che genera. 

3. A fondamento di questi interventi deve essere posto un sistema di relazioni rinnovate tra i popoli; e, ancor più profondamente, una cultura nuova, uno sguardo nuovo sugli altri, una libertà capace di impegno creativo, assiduo, intelligente. Anzitutto, da parte di chi possiede responsabilità tali da poter decidere le sorti di interi popoli. Ma anche da parte di tutti, chiamati ciascuno per nome come Abramo quest’oggi, a sentirsi “parte in causa” e non semplici spettatori dello sviluppo dell’umanità.

In una parola di sintesi, all’umanità occorre oggi un cuore nuovo, capace di pulsare in tutti con lo stesso ritmo e verso la stessa meta del vero, del bene e del giusto. Occorre quel rinnovamento profondo che solo il cuore di Dio può donarci – come sta accadendo in questa celebrazione eucaristica – come principio di una moralità e di una solidarietà a raggio mondiale.

A Dio, alla sua alleanza d’amore che non conosce incertezze o infedeltà, desideriamo adesso, tutti insieme, affidarci. E’ Dio in Cristo Gesù la nostra speranza. Guardando al mondo con i suoi occhi e il suo cuore riscopriremo sempre più le ragioni profonde della speranza autentica, che ci spingerà verso un futuro comune, condiviso e solidale, secondo il disegno di Dio e le attese del cuore d’ogni uomo. Al Signore chiediamo la forza e la gioia di continuare a camminare «sulle orme della fede del nostro padre Abramo» (Romani 4,12), entro quell’alleanza di fraternità universale che con lui ha preso inizio e che in noi ogni giorno si radica e si fa “vita della nostra vita”. 

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano

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Tettamanzi: “Un errore militarizzare le città: la paura non passa con un decreto”
di Zita Dazzi e Roberto Rho – Repubblica 21 giugno

«Militarizzare le città serve solo ad aumentare il senso di smarrimento e la paura. Perché la paura non passa per decreto legge».
Guarda dalla finestra del suo studio, il cardinale Dionigi Tettamanzi, e vede una piazza Duomo affollata di milanesi che la attraversano di corsa per spostarsi da un ufficio all´altro, ma anche di immigrati che si incontrano, bevono, bivaccano, litigano. «Non sempre – dice l´arcivescovo di Milano – affacciandomi vedo il cuore della mia città. Molto più spesso vedo piazza Duomo come il teatro in cui tante, troppe solitudini si sfiorano». Perché questo è il punto: «È la solitudine, causata soprattutto dalla privatizzazione dei tempi e degli spazi e dal conseguente calo della qualità della socializzazione, ad aver generato le paure della gente. Sono soli tanti anziani. Soli troppi giovani. Soli molti adulti, anche con posizioni sociali prestigiose. La solitudine causa ulteriore sfiducia verso l´altro e genera la paura dell´incontro. Le parrocchie e il volontariato, non solo cattolico, sono delle oasi di relazioni».

Quali risposte devono dare le istituzioni a questo disagio?
«Guardiamo in avanti, non speculiamo sulla paura. Da sempre il forestiero desta sospetti e pregiudizi. Ma nel passato Milano è stata capace di rimettere in discussione la propria identità per ridefinirla insieme ai nuovi venuti. Penso alla migrazione dal Veneto o dal Mezzogiorno che ha raddoppiato in pochi decenni il numero di abitanti di Milano e decuplicato la popolazione dell´hinterland. Sono stati processi non privi di fatiche e ferite. Il principio che ha portato alla costruzione del volto sintetico della città è stato il forte senso di solidarietà che la animava. Una forza inclusiva che si è indebolita».

Sì, ma come si spiegano alla gente i valori dell´accoglienza e della solidarietà, in una città dove si susseguono i reati, perfino i più odiosi come le violenze sulle categorie più deboli?
«Milano saprà trasformare tutti suoi abitanti, anche gli immigrati, in cittadini. È per il bene, la sicurezza, l´arricchimento di tutti che dobbiamo compiere questo sforzo. Barricarsi in casa, criminalizzare alcune categorie di persone, presidiare militarmente le città, sono gesti che aumentano il senso di smarrimento e solitudine. La solitudine cessa se si sperimenta la bellezza dell´incontro. Chi ne è deputato faccia rispettare la legge per impedire quegli atteggiamenti che rendono spiacevoli o pericolosi questi incontri».

Legalità, appunto. È – dicono il governo e le istituzioni locali – il perno intorno a cui far ruotare le politiche sulla sicurezza e l´immigrazione.
«Non è mio compito promuovere o bocciare le leggi dello Stato. Papa Benedetto XVI ai vescovi italiani ha chiesto di non chiudere gli occhi di fronte alle povertà, rispettando le leggi. Sia all´interno dello Stato che nei confronti di chi vi giunge dall´esterno. Solidarietà, rispetto delle leggi e accoglienza devono coniugarsi. Da anni a Milano promuoviamo il “patto di legalità” con chi chiede di vivere da noi. Le istituzioni devono far rispettare le leggi e creare le condizioni affinché siano rispettate e gli immigrati non siano risucchiati dall´illegalità. Carità e legalità non sono mai in contrapposizione: gli immigrati, prima di essere tali, sono persone. Chi delinque sia affidato celermente alla giustizia. Ma il rispetto
della dignità delle persone non può mai essere omesso».

Di recente la Curia ha sottolineato che in alcuni casi, per esempio lo sgombero del campo rom della Bovisasca, si è agito sotto i livelli minimi di rispetto della dignità umana. Ne è nata una polemica con il sindaco di Milano, Letizia Moratti.
«Quando il vescovo interviene lo fa a partire dal Vangelo e per ricordare a tutti che esistono valori umani così alti che esigono di essere non solo proclamati ma rispettati, sempre».

Lei pensa che i blitz all´alba nei campi rom, le schedature, i controlli a tappeto sui mezzi pubblici, gli slogan “zero campi rom”, la carcerazione dei clandestini abbiano effetti positivi e siano compatibili con il rispetto della dignità delle persone?
«Che beneficio portano certi metodi? Servono veramente a risolvere il problema, a rassicurare adeguatamente la gente contro la paura, oppure corrono il rischio di rivelarsi tentativi effimeri? Ho la sensazione che causino l´effetto contrario a quello sperato…».

Cardinal Tettamanzi, l´Expo a Milano è un´opportunità o un rischio?
«È un´opportunità grande e un motivo di orgoglio. Mi piace lasciarmi guidare da una suggestione, dal significato del nome della nostra città. Milano rimanda a Mediolanum, ad una terra che “sta nel mezzo”.
Un luogo dove si converge, ci si incontra, si dialoga. Che opportunità l´Expo se – già da oggi – permette a Milano di essere sempre più città dell´incontro. Tra religioni e culture differenti, tra collocazioni sociali diverse, tra chi è cittadino a tutti gli effetti e chi lo vorrebbe diventare, tra età della vita distanti, tra chi ha un lavoro e chi l´ha perso o non l´ha mai avuto, tra chi è sano e chi è malato…»

Come giudica lo sviluppo urbanistico di Milano? Interi pezzi della città stanno cambiando volto.
«Occorre che la città diventi “bella”. Bella nella sua dimensione più interiore, spirituale. Mi hanno incuriosito e affascinato i progetti da realizzare per il 2015. Abbiamo bisogno di questo e di molto altro splendore: una città “bella” nella sua architettura rende migliori anche i suoi abitanti. Occorre porre da subito l´uomo al centro della Milano che sarà, con i suoi bisogni. Anche spirituali: dove sono gli spazi per vivere questa dimensione? Progettando, pensiamo al 2015 ma anche e soprattutto ai cittadini di Milano nel 2016, quando i visitatori se ne saranno andati. Sento un gran discutere di grattacieli, finanziamenti, deleghe… Ma del bellissimo tema al centro di questa Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita” qualcuno se ne sta occupando?»

Ma lei preferisce i grattacieli dritti o quelli storti?
«E lei? Difficile dire in assoluto se siano più belli dritti o curvi. Ciascuno giudica secondo i suoi criteri estetici. Ma se devo proprio dire la mia opinione, io li preferisco dritti».

In definitiva, cardinale, che Milano vede dalle sue finestre? La Milano ricca metropoli internazionale proiettata nel futuro o la Milano metropoli delle diseguaglianze, dell´intolleranza e del disagio sociale?
«L´unico mio giudizio su Milano è l´amore per questa città e per i suoi abitanti. Sono fiero di essere milanese. È un amore che mi spinge ad appassionarmi a questa città e ai suoi abitanti, specie quando le circostanze ne causano la sofferenza. Più che di giudicarla, sento il bisogno di amarla».

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Oltre 20 organizzazioni della società civile e del no profit si sono ritrovate questa mattina nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma per confrontarsi sugli episodi di intolleranza degli ultimi tempi che hanno avuto per protagonisti immigrati e soprattutto rom.

Un appuntamento dal titolo “Mille voci contro il razzismo – Il razzismo ci rende insicuri” che di fatto da’ il via ad una sorta di mobilitazione contro una cultura ed una politica che si sta affermando nel nostro paese che non riconosce nel diverso, nello straniero, un soggetto di pieno diritto umano.

Dal dibattito e’ emersa una netta contrarieta’ al decreto sicurezza varato dal governo e sul quale si chiede un ripensamento al Parlamento. Contro la criminalita’, ribadiscono la strategia della prevenzione e della integrazione; principi affermati dalla Costituzione italiana e dal diritto internazionale.

Nutrito il gruppo di organizzazioni che hanno promosso l’iniziativa: Acli, Amnesty International, Antigone, Arci, Asgi, Cantieri Sociali, Cgil, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Federazione Rom e Sinti Insieme, Fuoriluogo, Giuristi Democratici, Libera, Link, Lunaria, Magistratura Democratica, Medici Contro la Tortura, Mensile Confronti, Progetto Diritti.

Presenti, fra i tanti, l’Unhcr, la Caritas Italiana, la Fondazione Migrantes, la Comunità di Sant’Egidio, il presidente della Regione Puglia Nicki Vendola, l’ex ministro Paolo Ferrero, Pietro Ingrao, Tullia Zevi, Gad Lerner.

Intanto a Milano nasce l’osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali. L’iniziativa è del Coordinamento rom, del quale fanno parte Caritas Ambrosiana, Acli, Arci, Camera del Lavoro e Casa della Carità. Pagani (Opera Nomadi): “Oltre che sbagliati da un punto di vista sociale, i provvedimenti del pacchetto sicurezza sono iniqui, discriminatori e in alcuni passaggi ricordano una sorta di pulizia etnica”. Domani sera, convegno alla Camera del Lavoro con avvocati e giuristi.

Riportiamo il comunicato stampa (.pdf) di Opera Nomadi di Milano inerente gli avvenimenti di questi giorni invitando gli amici di Chicco di Senape ad inviare un messaggio di solidarietà.

Infine, ricordiamo che è possibile sottoscrivere fino al 30 giugno il comunicato promosso da Chicco di Senape “Il volto di ogni uomo è immagine di Dio”.

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