Il senso della nostra presenza.
Siamo un gruppo di credenti della diocesi di Torino. Ciò che ci accomuna è la passione per la Chiesa, il desiderio di creare le condizioni per una vera comunione che accetti le diversità e la franchezza dei rapporti interpersonali.
Ci riconosciamo nelle parole del nostro Vescovo che recentemente, dopo aver ricordato che i cristiani del nostro tempo devono “urgentemente” riflettere sulla loro “capacità di dare testimonianza credibile ed efficace (delle) verità fondamentali del cristianesimo in una società sempre più disorientata sul senso degli eventi e della vita stessa delle persone” e che per fare ciò devono diventare “capaci di interpretare le attese e le speranze degli uomini e delle donne” di oggi e di “mettersi in dialogo con loro” facendo leva per questo su una adeguata “conoscenza di un mondo (il nostro) che cambia con velocità impressionante” e della “cultura oggi dominante che è molto secolarizzata”, ha affermato:
- che per conseguire questi obiettivi “premessa fondamentale (diventa) la formazione di tutti, ma specialmente dei laici”
- e che “i laici devono avere più visibilità e devono prepararsi a ruoli di vera responsabilità e non solo di collaborazione all’interno delle nostre comunità”.
Il nome.
Non è stato semplice cercare un nome per definire questo gruppo e questo percorso. L’idea è nata tra un gruppo eterogeneo di credenti: ci siamo riuniti per ragionare insieme in merito all’attuale situazione ecclesiale e alla difficoltà di un confronto aperto sulle questioni che, in modo sempre più impegnativo, interrogano la nostra coscienza di uomini e di cristiani. Difficile, così, trovare un nome che piacesse a tutti.
Alla fine abbiamo scelto “chicco di senape”: il Vangelo di Luca (17,6) suggerisce che tanto basterebbe per far sì che un albero prenda dimora nel mare e il Vangelo di Marco (4,31) sceglie questa immagine per rappresentare addirittura il Regno di Dio.
Chicco di senape, perché pensiamo che le strade siano da scoprire camminando con gli altri e perché speriamo che questo chicco ci permetta di avere il coraggio e la speranza.
Ci anima lo spirito di partecipazione che vivificò il Concilio Vaticano II e il desiderio di proporre strade di confronto tra persone che possono avere idee diverse ma che hanno voglia di interrogarsi, tra fedeli laici e preti, tra credenti e non credenti.
Coordinamento.
Abbiamo costituito un comitato di coordinamento la cui funzione è proprio quella di tenere i contatti fra i gruppi, proporre e far circolare idee, raccogliere indicazioni, critiche, proposte, risultati della riflessione, organizzare incontri, divulgare il progetto.
Componenti: Oreste Aime, Morena Baldacci, Simona Borello, Nino Cavallo, Paolo Chicco, Claudio Ciancio, Giuseppe Elia, Giovanni Fiorio, Tommaso Giacobbe, Paola Giani, Antonio Gorgellino, Marco Mazzaglia, Giulio Modena, Ugo Perone, Enrico Peyretti, Domenico Raimondi, Toni Revelli, Maria Adele Valperga Roggero, Ugo Gianni Rosenberg, Stefano Sciuto, Poppi Simonis, Adriana Stancati Momo, Fabio Tango, Riccardo Torta.
L’augurio fervido è che dal granello del seme prenda vita una Comunità capace di comunicare la GIOIA della Bella Notizia: il Padre è Carità d’Amore, e ci ama così tanto da renderci capaci di Amare ! Siano dunque benvenute tutte le iniziative , le conviviali per prime, portatrici di comunione sincera. con Amicizia, Loredana.
🙂
Ciao!
Sebbene io non sia credente, anzi sebbene io sia atea, apprezzo molto il vostro sforzo di voler cercare la comunicazione, ammiro la capacità di non volersi fermare ( almeno per quel che leggo) all’apparenza…in bocca al lupo e non mollate
Il «caso Englaro»: andare oltre il “silenzio” e le accuse di “omicidio”
Molti slogan ad effetto si possono leggere e ascoltare sulla vicenda di Eluana Englaro, che sembra avviarsi verso l’esito che aveva chiesto per sé, nel momento in cui aveva espresso il rifiuto di restare “prigioniera di un corpo” incapace di consentirle ogni forma di vita intellettiva, affettiva e sociale: senza emozioni, ricordi, esperienze, relazioni. Gli slogan più ripetuti sembrano essere: «scenda il silenzio su questa vicenda», «lasciamo che sia il padre a decidere», «invidio chi ha certezze», «impediamo un atto di eutanasia», «non si può uccidere una persona togliendole cibo e acqua». Sia il silenzio sia il ricorso a espressioni fuorvianti come “omicidio” e “eutanasia” per designare l’interruzione dei trattamenti medici a cui è sottoposta Eluana Englaro e, in particolare, dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali, sono due diverse modalità del rifiuto di affrontare razionalmente un caso che scuote le coscienze e presenta una notevole complessità sia sotto il profilo scientifico, sia sotto il profilo etico e religioso. Anche i casi complessi vanno affrontati e discussi, sapendo che le soluzioni che vengono prospettate mantengono margini di ambiguità e non possono pienamente corrispondere all’ideale (mai raggiungibile sui casi concreti) dell’accordo sul piano descrittivo e della valutazione morale. Non convince – anche se può essere compresa – la richiesta di restituire il corpo di Eluana al padre, l’unico che sarebbe in grado di interpretare le sue volontà e di fare il suo “bene”. Il corpo continua ad appartenerci fino alla fine della nostra esistenza e, se divenuti “incompetenti”, il rappresentante legale dovrà soltanto svolgere la funzione di chi si rende interprete delle volontà precedentemente espresse dal paziente, senza forzarle nella direzione di ciò che egli ritiene sia preferibile in termini di qualità della vita, di vita degna di essere vissuta. Il complesso iter giudiziario che ha condotto alla sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007 e al decreto della Corte d’appello di Milano del luglio 2008 è servito per acquisire elementi di prova chiari e convincenti – nei limiti di ciò che è umanamente possibile fare – della volontà espressa da Eluana Englaro, prima di cadere in stato di incoscienza, di rifiutare ogni forma di sostegno vitale nel caso in cui si fosse presentato un quadro clinico con i caratteri dello stato vegetativo. Se il nostro corpo, si è detto, ci appartiene sino alla fine dell’esistenza e non appartiene ai nostri genitori, per quanto amore possano avere nei nostri confronti, esso non appartiene neppure allo Stato o a una Chiesa – neppure a una Chiesa con molti secoli di storia come la Chiesa di Roma – e neppure a chi esercita la professione medica, che non può arrogarsi il diritto di stabilire se una cura o un trattamento medico possono o debbono essere imposti o negati a un paziente senza acquisire il suo consenso informato. Se gli slogan che invitano al silenzio e a «lasciar fare» al padre Beppino Englaro vanno considerati come incongrui e sono un segno di debolezza da parte di chi non vuole esprimere una valutazione e pertanto fa ricadere unicamente la responsabilità della sospensione di alimentazione e idratazione artificiale sul padre (vorremmo dire, forzando un po’ le cose, «se ne lava le mani»), più gravi ancora ci sembrano le accuse di autorevoli esponenti della gerarchia cattolica (ad esempio quelle formulate dal cardinale Lozano Barragan, presidente del Consiglio degli operatori sanitari), che equiparano la sospensione dei trattamenti medici a un atto di omicidio. Le scelte omicide sono scelte nelle quali, scientemente e con l’intento di danneggiarlo, si sopprime un essere umano; qualora invece da un atto – ad esempio da un atto medico – consegue in un determinato arco temporale la morte per altre motivazioni, ad esempio per contenere il dolore con la somministrazione di antidolorifici, non è sensato parlare di omicidio. Si tratta in questo caso di azioni – di cui va certamente vagliata la liceità sotto il profilo etico e giuridico – che hanno indubbiamente come conseguenza la morte, ma che non muovono da una motivazione ostile nei confronti di chi cerchiamo invece di aiutare a far fronte a una situazione che risulta sia oggettivamente sia soggettivamente in-tollerabile. Si dirà: questi non sono casi controversi sotto il profilo etico. Altri sono i casi controversi: il caso Welby, il caso Englaro. Sono partito dai casi non controversi solo per sottolineare che non tutte le azioni che comportano la morte di una persona sono “omicidi”. Veniamo ai casi controversi. Tutti ricorderanno che la scelta responsabilmente assunta da Piergiorgio Welby, che venisse sospesa ogni misura di sostegno vitale nei suoi confronti – lasciando che il suo corpo scivolasse in tal modo verso la morte – venne fortemente contrastata e ritenuta come una scelta di carattere “eutanasico” da parte di autorevoli esponenti della gerarchia cattolica. Ma è opportuno – almeno per chi sui temi etici ritiene che sia indispensabile argomentare razionalmente le scelte anche nei casi più difficili – porre alcuni quesiti: a) costituisce davvero un attentato alla vita umana (e per i credenti un attentato alla vita donataci da Dio) rifiutare i trattamenti di sostegno vitale in situazioni nelle quali il mantenimento in vita appaia in contrasto con la valutazione da parte del soggetto che l’esistenza è divenuta in sommo grado in-sopportabile?; b) è ammissibile che lo Stato, la legislazione, coloro che esercitano la professione medica conculchino il fondamentale diritto dell’individuo all’autonomia e all’autodeterminazione, autonomia e autodeterminazione che costituiscono il tratto distintivo dello sviluppo morale individuale? Non solo chi fa propri i presupposti del pensiero morale della modernità (ad esempio quelli della morale kantiana) ritiene che si debba valorizzare il principio di autonomia. Lo si può fare anche a partire da motivazioni religiose. Intervenendo nel dibattito sollevato dal caso Welby la pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese, dichiarò: «Noi valdesi, in quanto cristiani evangelici, crediamo fermamente che la vita sia un dono prezioso di Dio. Ma […] l’accanimento terapeutico, ancor di più quando in contrasto con la volontà del malato, viola la sua dignità e aggrava le sofferenze fisiche e psicologiche. Esaltando la capacità tecnica, celebra l’onnipotenza umana che nulla ha a che fare con l’amore e la compassione di Dio per le sue creature. E l’amore non impone sofferenza, né costringe ad una artificiosa sopravvivenza» (Agenzia Stampa NEV, Comunicato stampa del 21.12. 2006). Lo stesso card. C. M. Martini, intervenendo nel dibattito, affermò che non vanno prolungati «i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona». Il cardinale sottolineò che «non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete – anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite – valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate». Mostrò inoltre interesse per la legge francese sui diritti del malato e la fine della vita, approvata nel 2005, che consente al paziente che si trova nella fase terminale di una patologia grave e incurabile di richiedere la sospensione o la limitazione di qualsiasi trattamento e che inoltre prevede la possibilità di redigere direttive anticipate di trattamento, di cui il medico deve tener conto per ogni decisione di indagine, intervento o trattamento (C. M. Martini, Io, Welby e la morte, in “il Sole 24 Ore”, Supplemento Domenicale del 21 gennaio 2007). Il caso Englaro è indubbiamente più complesso rispetto al caso Welby, in quanto si tratta di una paziente “incompetente”, ossia di una paziente che non è in grado di esprimere le sue volontà, che vanno pertanto ricostruite sulla base delle sue precedenti dichiarazioni, del suo stile di vita, della sua personalità, dei suoi convincimenti relativamente al modo di salvaguardare la dignità della persona umana. La complessità del caso deriva inoltre dal fatto che Eluana non è una malata terminale e potrebbe, se alimentata e nutrita artificialmente, continuare a sopravvivere – in assenza di qualsivoglia attività cognitiva – per un tempo non definibile. Tale complessità non va occultata; al tempo stesso vanno evitate espressioni fuorvianti (“crimine”, “decisione criminale”) per la sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiali nel caso di Eluana Englaro, il cui stato vegetativo si protrae da 17 anni e per il quale non è ragionevole attendersi evoluzioni tali da consentire la manifestazione di attività cognitive e di vita di relazione. Se la questione centrale, dal punto di vista etico, è quella relativa alla liceità di tale sospensione e inoltre nutrizione e idratazione artificiali sono trattamenti medici – tali sono considerati dalle società scientifiche – al paziente deve essere consentito di rifiutarli. Sotto il profilo etico tale decisione non può essere censurata se la condizione in cui versa il paziente è tale da condurlo a valutarla come in-sopportabile e priva di ragionevoli prospettive di modificazione (stadio terminale di una malattia, necessità costante di misure di sostegno vitale eccessivamente invasive, ecc.). Tali valutazioni non possono che essere soggettive e non si vede la ragione per cui altri debbano sostituirsi a noi nel decidere ciò che è più conforme al rispetto della dignità della nostra esistenza. Non si vede infine perché tali valutazioni debbano essere considerate come un attacco al valore della vita, quando – indipendentemente dalla nostra volontà – la vita di per sé sta svanendo o – negli stati vegetativi – sono cessate le funzioni cognitive e tutte le forme di relazione, che sole possono dare spessore e significato all’esistenza umana. Non credo che neppure dal punto di vista religioso, ovvero da parte di chi ritiene che la vita è un dono, sia inammissibile l’idea di accettare i limiti della condizione umana, non forzarli, non assolutizzare la dimensione biologica dell’esistenza, sia inammissibile anche prospettare in specifici casi l’abbandono dei trattamenti che mantengono in vita corpi che autonomamente non sarebbero in grado di farlo. Ma, posto anche che sotto il profilo religioso – di un determinato credo religioso – tale sospensione sia giudicata inammissibile, per quale motivo essa dovrebbe coartare le coscienze che non si riconoscono in una determinate accezione del principio della “sacralità della vita”? Chi ritiene che tale coercizione sia indispensabile non può che giungere – come fanno i cattolici ipertradizionalisti di “Instaurare omnia in Cristo” – alla negazione del principio della “libertà di coscienza”, considerata «un’assurdità non solamente sul piano cristiano ma prima ancora su quello umano» e una espressione della concezione «luciferina» della libertà. Le tesi esposte – che ritengo giustificate razionalmente – non possono cancellare la tragicità della situazione in cui si trovano Eluana Englaro e i suoi familiari e non possono compiutamente sollevare chi si accinge a dare esecuzione alle sue volontà dal «timore e tremore» che inevitabilmente ci assale quando su di noi ricade la responsabilità di una scelta, che non è la scelta tra rispetto della vita e libertà scellerata di dare la morte, bensì la scelta di assecondare o non assecondare la volontà del paziente di lasciare che il proprio corpo, non più sostenuto da trattamenti di sostegno vitale, scivoli verso la morte. Noi vorremmo, quando amiamo una persona, impedire tale scivolamento, ma al tempo stesso, per rispettare la sua volontà e la sua idea della dignità della persona umana, con sofferenza accettiamo e ci pieghiamo a tale volontà.
Tiziano Sguazzero
Ciao!
Che bel progetto! Continueremo a seguirvi… provare x credere, il blog che gestiamo, è, in piccolissimo, qualcosa che vorrebbe andare nella direzione di cui parlate: cercare di fare chiesa, un po’ dal basso, condividendo. Siamo agli inizi, e tante cose ancora si dovranno profilare, ma è consolante sapere che c’è qualcuno -nel mondo ogni tanto si incontra, nel web un po’ meno- che è un pezzettino più avanti di noi.
Buon lavoro!
carissimi
sono contento che in un mondo di deleghe ci sono delle persone che desiderano essere seme o lievito nella società.
Se può essere utile noi facciamo parte di un’Associazione che ha realizzato le mostre fotografiche da proiettare nelle carceri con conferenza e dibattito con i detenuti, per un’eventuale collaborazione
E’ una novità assoluta che la mostra della Sindone entra in un carcere per cui c’è molto stupore e curiosità!
Augurandovi un buon cammino chiediamo che lo Spirito Santo vi illumini
antonio
la cosa importante e’ di non farsi troppa pubblicita’ perche’ quello che lo fanno hanno molte cose da nascondere, quindi, consiglio di andare avanti per la propria strada senza mettersi troppo in mostra.
carissimi amici
vi informiamo che la nostra Associazione, ha realizzato una mostra fotografica, storico-culturale e scientifica, su N.S. di Guadalupe(equiparata dagli studiosi alla Sindone) e sulla Sindone, in pannelli e da proiettare con conferenza, itinerante, per informare sui risultati scientifici ottenuti dagli studiosi.
Inoltre proponiamo anche la mostra su S.Faustina Kowalska e Gesù della Divina Misericordia in pannelli 70X100 plastificati.
per la visione online:
http://www.associazioneavvento.it
La ringraziamo anticipatamente e inviamo distinti saluti
Antonio Strina
[…] Chi siamo […]
TIZIANO SGUAZZERO (UTINENSIS) – SULLA MANIFESTAZIONE DEL 13 FEBBRAIO 2011
Penso sia sbagliato non tener conto della protesta civile di centinaia di migliaia di persone, donne e uomini, che hanno manifestato il loro rifiuto motivato non solo di comportamenti (azioni) riprovevoli – che potrebbero essere penalmente rilevanti e certamente sono incompatibili con ruoli di responsabilità politica – ma anche di un modello culturale (etico, sociale, ecc.) che porta un Paese ad esaltare non lo sforzo di costruire un coerente progetto di vita (quale che esso sia) ma unicamente la ricerca ad ogni costo di immediati vantaggi personali. Stupisce profondamente che ministri della Repubblica e soprattutto il ministro della Pubblica Istruzione, che dovrebbero tutelare e promuovere i valori fondanti del rispetto della dignità delle persone, condannino rabbiosamente una manifestazione pacifica che esalta tali valori. Nei loro convegni i vari Gelmini, Sacconi, Bondi, ecc. si scagliano contro la cultura del Sessantotto senza comprenderne la complessità e poi si fanno cantori del libertinismo sfrenato del premier, facendo così comprendere di essere asserviti al modello culturale del pensiero reazionario (uso il termine in senso tecnico), in base al quale al sovrano e ai potenti tutto è concesso (soprattutto arricchirsi a dismisura e soddisfare senza freni le proprie pulsioni sessuali) e ai governati invece si impongono leggi fortemente limitative delle libertà di autodeterminazione (vedi posizione Pdl sul testamento biologico e sulla fecondazione assistita). Bisogna soltanto ringraziare il milione di donne e uomini che sono scesi in piazza per gridare il proprio rifiuto di questa scandalosa riproposizione di una moderna forma di tirannide, fondata sull’intoccabilità dei potenti, a cui tutto è concesso, sulla demagogia populistica e sul tentativo di ridurre noi tutti in spettatori impotenti di un gioco politico che si agita sulle nostre teste.
Altro che sistema partitocratico di cui parla Pannella, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di molto peggio, a un sistema di potere condannato anche da pensatori tutt’altro che “progressisti” come Platone, ad un tentativo disperato di piegare gli interessi di uno Stato ai desideri e all’arbitrio di un uomo che ha saputo comprarne molti altri che gli fanno da contorno, che tutto devono a lui e che vedono franare insieme a lui il proprio potere e i propri privilegi.