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Posts Tagged ‘diocesi di Torino’

Sin delle prime iniziative che chiccodisenape ha proposto alla città, una particolare attenzione è stata dedicata all’annuncio evangelico. In questi ultimi tempi, in particolare, si sta interessando alle nuove forme dell’annuncio e alle modalità di presenza pastorale nella città, che richiedono non un superamento della parrocchia, ma la sua integrazione con modi e stili di presenza più adeguati ai tempi e ai luoghi o non luoghi della vita in città.

Lo spunto ci è stato offerto dai progetti diocesani di revisione dell’assetto delle parrocchie per rispondere alla diminuzione del clero, progetti che ci sono sembrati una semplice risposta organizzativa a un problema di portata ben più ampia. Abbiamo incominciato a riflettere sul problema insieme a don Geppe Coha, parroco dell’Assunzione di Maria Vergine, che intenderebbe procedere a una sperimentazione di presenza pastorale in locali di cui la parrocchia dispone, ma non annessi ad essa, locali in posizione strategica tra il Lingotto, la fermata del metro, il nuovo palazzo della Regione. Siamo anche venuti a conoscenza, tramite Morena Baldacci, delle esperienze delle Maison d’église che si stanno diffondendo in Francia, che Morena ha visitato. Esperienze analoghe sono presenti in altre nazioni europee.

Pensiamo che siano questioni cruciali per la chiesa torinese e su questi ci impegneremo per organizzare un convegno di approfondimento e di sensibilizzazione.

In preparazione del convegno organizziamo un seminario, aperto a tutti, che si svolgerà il 2 aprile dalle 9.30 alle 12.30 in corso Matteotti 11 (4° piano), con gli interventi di Morena Baldacci, Valentino Castellani, Geppe Coha, Franco Garelli, Maurizio Momo, Matteo Robiglio.

 

Per informazioni: chiccodisenape@gmail.com e www.chiccodisenape.org

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di don Toni Revelli (pubblicato su La Voce del Popolo)

Vorrei proporre alcune riflessioni su leggi e sentenze che offendono la nostra coscienza di cittadini e cristiani.

Recentemente la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che prevede l’espulsione degli immigrati “irregolari” anche se i loro figli frequentano la scuola.

È la diretta conseguenza delle norme stabilite nel “pacchetto sicurezza” varato l’anno scorso dal governo e passato quasi sotto silenzio, con un’accettazione passiva proprio da parte di chi avrebbe dovuto reagire con più energia. Cosa si intende per “sicurezza”?

Giustamente Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e Itineranti” ha fatto notare, in una trasmissione di Radio Vaticano, che è necessario incamminarsi “verso una visione universale del bene comune” (di cui la “sicurezza” è parte), citando i recenti insegnamenti di Benedetto XVI con la Caritas in Veritate. Agostino Marchetto nel suo intervento dichiara apertamente che la sentenza va contro l’umanesimo cristiano. Va contro, cioè a una corretta visione cristiana dell’uomo.

Per essere più preciso, mi pare di dover sottolineare ancora una volta il progressivo processo di disumanizzazione della politica e dei rapporti sociali di cui siamo partecipi. Non è il caso di addossare colpe e responsabilità ai giudici, perché quella sentenza è frutto della legislazione, applica la legge. La Corte di Cassazione ha agito seguendo la legislazione che istituisce il “reato” di clandestinità.

La responsabilità reale del pronunciamento appartiene a chi ha votato quel “pacchetto” di leggi che nessuna coscienza umana, libera da pregiudizi e arroganze, potrebbe accettare. Tanto meno la coscienza di un cristiano che sia tale “non a parole, ma nei fatti e nella verità”.

Siamo in piena Quaresima, tempo “privilegiato di conversione e di liberazione dal male”; tempo per ritrovare la dovuta apertura intellettuale e morale verso Dio e i figli di Dio; tempo di accoglienza della Grazia divina e dell’amicizia e fraternità umana che siamo chiamati a vivere in Cristo. Ciò significa impegnare a fondo le nostre coscienze per “convertirci e credere al Vangelo”.

Ho sentito dire da sostenitori del neorazzismo che trova espressione anche in queste leggi, che sono provvedimenti che mirano a “difendere la fede cristiana”, che sarebbe minacciata dall’arrivo di appartenenti a religioni diverse. Credo proprio di poter rispondere tranquillamente che la Fede non ha assolutamente bisogno di “difese”, tanto meno difese politiche: la Fede non si difende; la Fede siamo chiamati a viverla. Fede cristiana significa “seguire Gesù”, seguendo l’unica via indicata da Lui stesso: “chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”. Potremmo “tradurre” con “prenda le proprie responsabilità, viva la propria fede con coerenza e sincerità, pronto a pagare di persona”. Chi vede nella fede altrui un pericolo per la propria dimostra semplicemente la debolezza delle proprie convinzioni. Allora si ha bisogno di leggi e imposizioni per far tacere o allontanare chi, con la sua presenza, ci provoca semplicemente a verificare la nostra fedeltà al Signore.

Ciò vale per ogni rapporto umano: “quando manca la forza della ragione, si ricorre alle ragioni della forza”, sia essa la forza fisica, l’imposizione legalistica, o la semplice violenza verbale. Chi accetta la chiamata di Cristo alla Fede riceve la missione di “essere testimone”, che propone, ma non impone; che è convinto delle proprie ragioni e non ha bisogno di altro.

In questo “tempo prezioso” della Quaresima, sapremo ”risvegliarci dal sonno”, accogliendo l’invito di S. Paolo ai Romani (vale anche per noi oggi!), per riproporre modelli di vita rispettosi per ogni persona, soprattutto dei più poveri e dei più deboli? Sapremo opporre a leggi e sentenze di questo tipo l’unica vera risposta: una obiezione di coscienza decisa, ferma e leale?

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Carissime amiche e amici di chiccodisenape,
ci auguriamo che abbiate avuto un sereno e arricchente periodo festivo e che siate pronti a vivere un nuovo anno pieno di passione ecclesiale!

Il primo motivo per cui vi scriviamo e’ per sollecitare la vostra partecipazione alle attivita’ di chiccodisenape!

Come avevamo gia’ avuto modo di annunciare nei mesi scorsi, ci ritroveremo in un convegno che ci permetta di riflettere insieme e di scambiarci preoccupazioni e speranze per la nostra chiesa torinese. L’appuntamento e’ per il 29 maggio prossimo! Segnate la data sull’agenda e attendete presto nostre notizie piu’ dettagliate!

In vista di questo incontro, chiediamo ai gruppi di elaborare una sintesi del lavoro svolto nell’anno, un po’ come era gia’ stato fatto prima del convegno dell’8 novembre 2008, sperando che si riescano a diffonderle tra i partecipanti. Per una migliore riuscita dei nostri lavori chiediamo ai coordinatori di farci avere il materiale entro Pasqua

La seconda ragione della nostra lettera e’ per segnalarvi un nuovo convegno organizzato dal gruppo che aveva dato vita a “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” nello scorso maggio: appuntamento il 6 febbraio a Firenze per riflettere su “Il Vangelo ci libera, e non la Legge”.

Alcuni del coordinamento parteciparanno, quindi scriveteci pure per segnalare il vostro interesse.

Il coordinamento di Chicco di Senape.

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Pubblichiamo la lettera dei 3 parroci di Settimo Torinese. Riteniamo sia un utile contributo anche alle nostre riflessioni.

All’uscita delle chiese parrocchiali l’UDC sta raccogliendo firme contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla questione del crocifisso nelle aule scolastiche. Abbiamo chiesto ai promotori dell’iniziativa di non sostare sul terreno della parrocchia, ma di collocarsi sul suolo pubblico. Vogliamo rendere ragione di questa posizione. 

Il crocifisso è per i cristiani un segno della violenza che si è scatenata -e purtroppo tante volte si scatena- contro il giusto e l’inerme; è il segno di una sofferenza condivisa; è il segno della misericordia di Dio che, attraverso le braccia allargate di Cristo crocifisso, accoglie tutti gli uomini. È dunque un segno di fraternità universale. Nei cristiani queste dimensioni del crocifisso sono state interiorizzate lungo i secoli. La sentenza di Strasburgo non tiene conto di sentimenti profondamente radicati nella coscienza della gran parte dei cittadini italiani; diciamo “italiani”, perché tale sentimento non è ugualmente condiviso in tutti i paesi dell’Unione Europea.

La reazione popolare alla sentenza dice dunque che molti italiani vedono ancora nel crocifisso un segno non solo della fede, ma anche della cultura e della civiltà occidentale. 

Siamo però anche convinti che la questione del crocifisso non possa essere affrontata sul piano legislativo né contro né pro. Né contro –come ha fatto la Corte di Strasburgo – perché la legge deve rispettare il sentire della maggioranza della popolazione; né pro perché non si può imporre per legge nei luoghi pubblici il segno di una vita data liberamente e gratuitamente.

Come credenti crediamo che “l’esposizione” vera del crocifisso passa attraverso lo stile di vita dei cristiani e non per legge.

Come cristiani cittadini crediamo che la via sia quella dell’imparare a parlarsi e ascoltarsi, creando nelle scuole un dialogo tra gli studenti, gli insegnati e i genitori presenti negli organismi di rappresentanza.

Dunque, né rimozione forzata né esposizione obbligatoria, ma proposta e dialogo. 

Denunciamo però le strumentalizzazioni messe in atto da alcune parti politiche che nulla hanno da spartire con i valori del Vangelo. Da alcune forze politiche il crocifisso viene brandito come una clava per colpire gli immigrati, viene strumentalizzato per alzare muri e viene usato per procacciarsi voti. E questo fanno appellandosi ai valori del cristianesimo.

Come parroci, responsabili delle nostre comunità parrocchiali, che sono l’espressione della Chiesa sul territorio, non vogliamo prestare il fianco a questi equivoci e per questa ragione abbiamo chiesto ai promotori dell’iniziativa di sostare sul suolo pubblico e non sul suolo della parrocchia. 

d. Silvio Caretto, Parroco di S. Vincenzo de’ Paoli
d. Paolo Mignani, Parroco di S. Guglielmo Abate – Mezzi Po
d. Teresio Scuccimarra, Parroco di S. Giuseppe Artigiano

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di Alberto Riccadonna (La Voce del Popolo – domenica 12 giugno 2009)

“Il reato di clandestinità esprime un inaccettabile rifiuto nei confronti dei popoli migranti”

A pochi giorni dal varo della nuova legge italiana sulla “sicurezza” abbiamo raccolto i commenti del giurista torinese Rodolfo Venditti, magistrato dal 1950 al 1993 e già docente di Diritto penale militare all’Università degli Studi. La notorietà del prof. Venditti – che fu tra l’altro dirigente regionale dell’Azione Cattolica – si estende da decenni in tutt’Europa soprattutto per i suoi studi sull’obiezione di coscienza al servizio militare e per il suo costante sforzo di affiancare la riflessione etica a quella giuridica.

Prof. Venditti, la nuova legge sulla sicurezza istituisce in Italia per la prima volta il reato d’immigrazione clandestina: chi entra o soggiorna illegalmente in Italia sarà d’ora innanzi punibile con un’ammenda (5-10 mila euro) e si terrà un processo davanti al giudice di pace per l’espulsione dal Paese. Quali valutazioni su questa nuova fattispecie di reato? È un reato che trova riscontro negli altri ordinamenti occidentali?

Va premesso che la nuova legge è un documento di 128 pagine che si occupa delle materie più disparate: dalla immigrazione alla mafia, dalle patenti di guida all’accattonaggio, dallo scioglimento dei consigli comunali all’imbrattamento degli edifici, dalla riforma di alcune norme del codice penale alla prevenzione di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, ecc….. La norma che istituisce il reato di immigrazione clandestina (detto anche “di clandestinità”) esprime in chiave giuridica un rifiuto netto (e, a mio avviso, gravissimo) che la società italiana, facente parte del cosiddetto “primo mondo” (sviluppatosi all’insegna del benessere economico e del consumismo), oppone allo straniero extracomunitario migrante, che proviene dal cosiddetto “terzo mondo” sottosviluppato e che è in cerca di una vita più umana rispetto a quella che ha sperimentato nella propria terra natale. È in atto un epocale movimento di popoli, provenienti dal “terzo mondo” e cioè, in massima parte, dall’Africa, dalla Cina, dal Sudamerica. Esso è conseguenza di squilibri demografici ed economici. In particolare l’Africa – da cui provengono le più recenti ondate migratorie verso l’Italia – è stata oggetto di uno sfruttamento plurisecolare da parte degli europei e dei nordamericani: uno sfruttamento disumano che non ha avuto alcun riguardo per le tradizioni di quei popoli, li ha depauperati delle loro risorse naturali, e tuttora monopolizza le grandi ricchezze di quei Paesi (dal petrolio ai diamanti). Vedere in ciascuno di quegli uomini e di quelle donne migranti un potenziale nemico e chiudergli la porta in faccia è un gesto disumano. Oltre tutto, è un gesto autolesionista, perché sappiamo bene che tanti umili lavori di cui la nostra società necessita sono oggi rifiutati dagli italiani e vengono accettati soltanto da stranieri immigrati. Non sono un esperto di diritto comparato, ma – per quel che so – non mi risulta che in altri Paesi occidentali sia previsto un reato di immigrazione clandestina. S’intende che se un immigrato commette un reato previsto dalla legge del Paese in cui si trova, verrà giudicato come viene giudicato qualunque cittadino di quel Paese che commetta un reato. Ma è assurdo che una semplice immigrazione non autorizzata venga punita come reato. Il massimo di sanzione non può essere che la espulsione. Il di più è xenofobia.

Vari esponenti della Chiesa Cattolica ritengono che il nuovo reato (e altri contenuti della legge: per esempio la schedatura dei clochard) siano segnali di una involuzione della legge italiana in senso anti-solidale e xenofobo. Lei concorda?

Concordo pienamente con quegli esponenti della Chiesa cattolica (come, ad esempio, mons. Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti) che ritengono “non umana” e “non cristiana” una normativa di tal genere e che mettono in evidenza come essa sia in contrasto con i “forum” internazionali degli ultimi anni, i quali si sono pronunciati a favore della utilità e positività della immigrazione. Contrastano con tale orientamento internazionale anche parecchie altre norme di questa legge, le quali pongono a carico degli immigrati pagamenti di somme non indifferenti in occasione di pratiche varie, relative al rinnovo del permesso di soggiorno o alla richiesta di cittadinanza, ed introducono altresì fortissime restrizioni in materia di locazioni e di ricongiungimenti familiari.

La legge sulla sicurezza apre le porte a interventi di giustizia “fai da te” (le ronde popolari, lo spray al peperoncino per autodifesa…). Sono interventi compatibili con i principi che ispirano l’ordinamento italiano? Lei come li giudica?

Sentir parlare di “ronde popolari” suscita in me un istintivo disagio. Mi evoca il ricordo delle “ronde” fasciste che segnarono la mia infanzia e la mia prima giovinezza, quando, durante la seconda guerra mondiale, le ronde avevano, tra gli altri compiti, quello di garantire l’oscuramento notturno delle città minacciate dai bombardamenti: urlavano dalla strada se trapelava uno spiraglio di luce ed erano capaci di sparare a quella finestra terrorizzandoci tutti. Oppure le ronde naziste, in cui potevi incappare per strada ed essere caricato su un camion che ti portava in un campo di lavoro in Germania senza che la tua famiglia sapesse più nulla di te. Certo, qui la “ronda” ha un significato diverso: vorrebbe essere una pacifica guardia, la cui presenza scoraggia i malintenzionati e ti dà un aiuto avvisando l’Autorità competente se ci sono situazioni sospette. Inoltre si tratta di persone disarmate, in massima parte provenienti da una esperienza di polizia. E questo è positivo. Non mi sentirei di parlare d’una “giustizia fai da te”. Ma chi può escludere che fra quelle persone ci sia qualche testa calda che abbia voglia di menar le mani? O che abbia qualche idiosincrasia per i neri, i rossi o i gialli? La xenofobia è una malattia oggi assai diffusa in Italia. Confesso che qualche preoccupazione ce l’ho.

I vertici delle associazioni di magistrati e di avvocati sostengono che la nuova legge “fa la voce grossa”, ma è solo di facciata, perché è difficilmente applicabile e intaserà i tribunali. Hanno ragione?

Penso che abbiano ragione. Anzitutto, mi fa sorridere il fatto che una maggioranza politica che è in aperto conflitto con la magistratura e che si è attivamente adoperata per sottrarre i propri comportamenti alle sanzioni legislativamente previste (ha abolito reati come il “falso in bilancio”, ha ridotto scandalosamente i tempi di prescrizione dei reati, ha inventato impunità mediante il “lodo Alfano”, ecc.), si rivolga con questa legge alla magistratura come alla extrema ratio a cui affidare la efficacia delle nuove norme sulla immigrazione. Ma – ironia a parte – l’attuale legislatore non si è reso conto, forse, che le Procure della Repubblica e i Giudici di pace che dovranno occuparsi di questo reato saranno sommersi da masse enormi di processi per immigrazione clandestina, con grave danno per il funzionamento della giustizia, già gravata da una enorme sproporzione tra carico di lavoro e carenze di personale giudiziario. E tutto ciò a quale scopo? Quello di emanare una condanna al pagamento di una ammenda, cioè di una somma in denaro (da 5 mila 10 mila euro!), che il clandestino condannato non sarà certamente in grado di pagare. Conseguenza: l’intasamento degli uffici giudiziari, con innegabile danno per i cittadini in attesa di giustizia.

La società civile indubbiamente esprime una domanda di maggiore sicurezza sociale. La legge appena approvata, in definitiva, risponde o non risponde?

Sì e no. Non è una risposta sibillina. È una risposta dimensionata sulla enorme quantità di disposizioni che questa legge contiene. Dopo averne messi in evidenza alcuni gravi difetti, provo ad elencare alcuni pregi, cioè alcune norme che a me paiono positive. A) La previsione di nuove aggravanti del reato di rapina: a) fatto commesso all’interno di mezzi pubblici di trasporto; b) fatto commesso a danno di chi stia fruendo o abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici per il prelievo di denaro. B) In tema di processi per mafia: a) art.41 bis reso più rigoroso e severo; severità estesa anche ai colloqui dei condannati con i loro parenti; b) esclusione dalle gare di appalto delle vittime di concussione e di estorsione aggravata che non abbiano denunciato i reati di cui sono state vittima (salvo il caso di “stato di necessità” o di “legittima difesa”). C) Non sono soggetti a revoca del permesso di soggiorno o alla espulsione gli stranieri che si trovino in Italia per asilo politico. Provvida disposizione; ma qui ci si imbatte nel fatto che in Italia non esiste ancora una legge sull’asilo politico. Tale lacuna dovrebbe essere urgentemente colmata. D) Finalmente, nel reato di rapina (art.628 codice penale) non sarà più possibile al giudice dichiarare la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti o la equivalenza tra le une e le altre, cioè – in pratica – togliere ogni rilevanza delle aggravanti nel computo della pena, facendole sparire in forza delle attenuanti. Tale riforma mi pare giusta, dato che le aggravanti previste per il reato di rapina attribuiscono a questo reato una connotazione di accentuata pericolosità sociale, della quale si deve tener conto nel determinare l’entità della pena. Si potrebbe obiettare: ma il giudice non era mica obbligato a dichiarare la prevalenza delle attenuanti. No, non era obbligato; ma tutte le volte che egli negava la prevalenza delle attenuanti, la difesa ricavava da ciò un motivo di appello o di ricorso per Cassazione. Questa nuova norma toglie dunque spazio ad inutili cavilli. E) Le severe disposizioni riguardanti chi imbratta i muri degli edifici e i fianchi dei treni e degli autobus pubblici: occorre reprimere con energia il comportamento di chi rivela un sovrano disprezzo per i beni pubblici e, comunque, per i beni altrui, compiendo atti di demenziale vandalismo che sporcano la città, i suoi edifici, i suoi monumenti, producendo grave danno, anche economico. Sembra una norma bagatellare, ma non lo è: è una importante norma di civiltà. L’ampiezza (piuttosto farraginosa) del testo legislativo in questione suggerirebbe molti altri spunti di riflessione. Ma il discorso diventerebbe lunghissimo.

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