Ricercare le parole per dire Dio nel nostro tempo (traccia di lavoro A)
- Diagnosi. Il primo convincimento manifesta l’esigenza, quasi come di una precondizione, di un passaggio negativo: «Non nominare invano». Prima ancora che dire o fare, si coglie la necessità che l’intera comunità ecclesiale riprenda il cammino verso la semplicità attraverso degli spazi -il digiuno, la ricerca del silenzio, la rinuncia a occupare ruoli di potere- che spesso sono vissuti come appelli alla singola persona del discepolo. Ma non è forse richiesto invece nel nostro tempo di passare in questa lotta dal verbo al singolare al verbo al plurale? Non è forse anche domandato di abbandonare un’accezione negativa del deserto -deserto delle relazioni, della solitudine e degli outlet come oasi, deserto della dottrina insufficiente, deserto della pseudo-catechesi scolastica ai fanciulli- per arrivare a quella positiva, di spazio dove possa risuonare l’annuncio della consolazione e della bella notizia?
- Il secondo punto riguarda l’esigenza di un movimento per mettersi alla presenza del Signore, in
ascolto della Sua voce, l’unica che può dare le risposte alla domanda: «Chi ci dirà le cose da dire?».
«Come dire Dio oggi? Chiedendo a Lui “chi sei?”. Il Dio incarnato in Gesù Cristo non è un’idea ma
una persona, e il modo più diretto per incontrare una persona è conoscerla attraverso ciò che fa e dice.
- Quindi più che parlare di Dio/su Dio, forse occorre ascoltare Dio stesso, che si racconta così come
vuol essere conosciuto». E invece troppo spesso nella vita dei cristiani non c’è tempo e spazio per
ascoltare la Parola, confinata sovente nei soli momenti liturgici o ridotta a semplice studio, mentre è
indispensabile uscire dai rifugi e stare vigilanti, in attesa che il Signore passi per dire quello che ha da
dire.
- In terzo luogo, è proprio nell’ascolto, che, come uditori, i credenti sono costituiti evangelizzatori:
«Chi parlerà?». Vi è un legame intrinseco fra lo status di laici e l’annuncio evangelico: fuori dal tempio,
nella vita ordinaria, “sulla strada” (un pensiero del biblista Romano Penna), tocca ai laici annunciare,
per missione propria e non soltanto per supplire alla carenza di ministri ordinati. Questo sguardo
permette anche di appropriarsi del proprio vissuto vocazionale: «laici non si nasce ma si diventa
attraverso una decisione, una scelta, quindi il laico non è il semplice battezzato. … Il battezzato può
scegliere di diventare prete, religioso, diacono oppure laico» (pensieri del teologo Carlo Molari).Declinati questi aspetti, si giunge al punto centrale: «Che cosa diremo? E perché? E come?».
Solamente il riconoscimento di se stessi come persone evangelizzate può portare a un annuncio
autentico, che riesca a trasmettere la profondità dell’incontro personale con Gesù, la persona che ha
mutato la comprensione del mondo donando il suo perdono e la notizia dell’avvento del Regno di Dio.
Il Vangelo raggiunge le vite nell’esistere quotidiano, ordinario e banale, di indifferenza e di
rassegnazione, nelle regole da rispettare e nei precetti da assolvere per sentirsi all’altezza.“Qui” ed “ora” è la Galilea, una terra non particolarmente “santa” dove il Vivente ci precede dopo avere
instaurato il Regno. Il perdono è incondizionato ed è un aspetto stupefacente e, al tempo stesso,
creatore: grazie all’esperienza del perdono gratuito, ricevuto ed accolto, e nuovamente dato, si creano
relazioni di qualità nuova, «gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco» (per usare le parole di Enzo Bianchi), in cui si mostra che la pace è effettivamente possibile e che è parte integrante dell’annuncio. «Questo annuncio assume un significato solo a partire dal progetto di uomo che Dio ha pensato. Infatti, senza la rivelazione dell’amore di Dio e della sua chiamata, l’uomo … sarebbe imperfetto, egoista, orgoglioso, violento, corrotto, … ma non sarebbe peccatore. Forse più che preoccuparsi della perdita del senso del peccato, dobbiamo chiederci se noi veramente riusciamo ad annunciare a quale pienezza di vita ci ha chiamato Dio creandoci». Forse infatti solo la testimonianza di «donne e uomini “eucaristici”, ossia persone che tentano di vivere nella propria vita l’atteggiamento di Gesù-Eucarestia, di offerta per Dio e per i fratelli, facendo scelte di pace e di comunione» può incidere su chi quotidianamente sperimenta la fatica, la sofferenza, la morte.
- L’ultimo nodo da sciogliere riguarda le domande: «Con chi parleremo? E dove?». Si è già detto
che il luogo d’annuncio è la strada, ma ora si vuole aggiungere una parola sui destinatari: tra i gruppi si sente la necessità di annunciare ai lontani -come testimonia l’approfondimento della figura di Charles de Foucault, a mo’ di modello spirituale e umano- e l’esigenza nuova di ri-annunciare ai vicini o ai semi-vicini.
- Il popolo di Dio è, infatti, variegato e composto da credenti formati e partecipanti alla vita ecclesiale,
ma anche da numerosi “analfabeti di ritorno”, che hanno avuto un certo grado di formazione cristiana
in gioventù ma oggi faticano a sentirsi a casa propria, e da coloro che hanno interesse per Dio e per
Gesù Cristo, ma sono scoraggiati -e talvolta anche risentiti- dall’insegnamento o dall’atteggiamento di persone della Chiesa, percepita esclusivamente come istituzione. E del popolo di Dio fanno parte anche i giovani estranei alla cultura cristiana, privi ormai quasi del tutto della possibilità di contatti linguistici diretti con il Vangelo ma affamati ricercatori del senso della vita.
- Prospettive. Si può dire, così, che la prima parola non è, paradossalmente, una parola, ma piuttosto un gesto, uno stile, un volto, in una parola: l’accoglienza senza condizioni, figlia dell’accoglienza ricevuta dal Signore.
- Per questo motivo, i primi luoghi di possibile accoglienza sono la propria casa e le assemblee liturgiche, soprattutto quelle eucaristiche e poi quelle che celebrano il sacramento della riconciliazione, non abbastanza valorizzate.
- Tra le molte proposte vi è quella delle “case della Parola” nelle quali non si trasmettono delle informazioni del testo biblico, ma si impara la Parola vivendo insieme, trovando «occasioni in cui partendo dal testo si spezza insieme il pane della Parola, ci si ammaestra reciprocamente, ci si accompagna nella ricerca, in cui si impara a raccontare le meraviglie che Dio ha compiuto…
- L’esperienza di ciascuno, letta alla luce della Parola di Dio, fa sì che ciò che prima era solo Scrittura ridiventi Parola che comunica con la vita dell’uomo e della donna, qui, oggi…. Case della Parola che possano diventare case del Verbo, luoghi in cui Gesù Cristo può abitare e noi con Lui». Come avveniva, del resto, nelle prime comunità cristiane. Come può avvenire, oggi, nelle nostre comunità parrocchiali.
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