“Vi ho chiamato amici”: questo il tema del convegno del Chicco di senape, rete di gruppi ecclesiali torinesi, introdotto dalle relazioni di tre teologi e a cui hanno partecipato 280 persone.
Pino Ruggieri, parlando dell’annuncio cristiano, ha osservato che non siamo noi a “dire Dio” ma è Dio che ”si dice” come soggetto. Le parole della fede, quando sono pure e impegnate, sono portatrici di rivelazione. In Gesù questa coscienza è massimamente presente, nell’essere-per-voi. Così Dio viene all’uomo, prima per i cattivi e poi per i buoni. Come a Emmaus, noi lo vediamo nello spezzare del pane, corpo-donato per gli altri.
Dio è dentro la storia dell’uomo, nell’unione personale in Gesù. Il racconto realizza ed estende l’esperienza, è accadimento esso stesso. Come Pietro in Atti 10, la Chiesa ha da dire non tanto il diritto naturale o una dottrina, quanto l’evento Gesù ci ha coinvolto.
Dio si dice in alcuni luoghi dell’esistenza: la preghiera, la liturgia, la sofferenza, in cui stare davanti a Dio nella fiducia di essere ascoltati, e il peccato stesso, in cui ci raggiunge la misericordia di Dio.
Serena Noceti, interrogandosi sull’attuale momento ecclesiale ha rilevato che siamo ad un crocevia, perché la forma ecclesiale di ieri non regge più.
L’attuale tendenza interpretativa del Concilio privilegia la figura di Chiesa come comunione su quella di popolo di Dio, preferita dal Concilio, e sulla storicità della Chiesa e la sua relatività al Regno. Occorre tornare a parlare di popolo di Dio e dell’ uguale dignità battesimale dei credenti.
La Chiesa è relativa al Regno e al mondo, deve mantenere la memoria di Gesù, e non di se stessa. Deve riconoscere la propria storicità: tutte le sue forme sono provvisorie. Occorre una “figura fragile di Chiesa”, che non equivale ad un cristianesimo fragile . Oggi non esistono più sistemi totali, anche per la realtà ecclesiale: siamo salvati nella debolezza di un Messia sconfitto. E’ essenziale una Chiesa di cristiani adulti, sinodale, che vive l’accoglienza matura delle differenze e in cui le comunicazioni sono multidirezionali; e che ricupera la visione ecclesiale-relazionale dei ministeri, proposta dal Concilio, rispetto a quella sacralizzata. La via della Chiesa nella storia è la testimonianza evangelica sconvolgente, povera, anche nelle persecuzioni, come Cristo.
Per Marco Vergottini, la differenza laici-chierici è successiva a ciò che unifica tutti i fedeli di Cristo: la vocazione universale alla santità, l’unità di missione, nella pluralità di ministeri. Tutti i cristiani, non solo i laici, sono nella storia. Tutta la chiesa ha un compito “politico”, nella formazione dei cristiani. Senza dimenticare che “laikos” vuol dire suddito nel greco antico, e il clericalismo è spesso presente fra il laicato. E’ tempo che i laici diventino pienamente cristiani assumendosi le proprie responsabilità.
L’unica spiritualità evangelica è seguire Gesù, “vigilare nell’attesa del Signore, facendosi carico della città” (C.M. Martini), con speranza, perchè l’autocommiserazione non è sofferenza per il Vangelo.
Numerose le domande e gli interventi dei partecipanti, cui i relatori hanno risposto nella tavola rotonda conclusiva moderata dalla teologa Stella Morra. Temi salienti: il titolo di “cristiano” comune a popolo e ministri, la sinodalità della chiesa, la circolarità della comunicazione, il primato della misericordia e dell’accoglienza.
Generale soddisfazione per il clima e i contenuti di questa scambio di riflessioni tra laici di base e teologi, e l’indicazione a far crescere questo ”chicco di senape” non solo nella Chiesa di Torino.
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