Memorandum dei teologi
Intervento di teologi tedeschi, svizzeri, austriaci in “www.sueddeutsche.de” del 3 febbraio 2011 (traduzione a cura di www.finesettimana.org)
È passato più di un anno da quando sono stati resi pubblici casi di abusi sessuali su bambini e adolescenti da parte di preti e religiosi nel collegio Canisius di Berlino. Ne è seguito un anno che ha gettato la Chiesa cattolica in Germania in una crisi senza eguali. L’immagine che oggi appare è ambivalente: molto si è cominciato a fare per rendere giustizia alle vittime, affrontare l’ingiustizia e scoprire le cause degli abusi, la dissimulazione e la doppia morale nelle proprie fila. In molti cristiani e cristiane responsabili, con o senza incarichi, dopo l’iniziale sgomento è cresciuta la consapevolezza che sono necessarie profonde riforme. L’appello ad un dialogo aperto sulle strutture di potere e di comunicazione, sulla forma del ministero ecclesiale e sulla partecipazione responsabile dei credenti, sulla morale e sulla sessualità, ha risvegliato attese, ma anche timori: si butta via un’opportunità, forse l’ultima, di superamento della paralisi e della rassegnazione evitando di affrontare i problemi o sottovalutando la crisi? La preoccupazione di un dialogo aperto, senza tabù, non è a tutti sospetto, in particolare non lo è se è imminente una visita del papa. Ma l’alternativa sarebbe un silenzio di tomba, perché le ultime speranze sono state distrutte, e semplicemente non può essere così. La crisi profonda della nostra Chiesa esige di discutere anche di quei problemi che a prima vista non hanno direttamente a che fare con lo scandalo degli abusi e con la sua pluriennale copertura. In quanto professoresse e professori di teologia non possiamo più tacere. Sentiamo la responsabilità di contribuire ad un autentico nuovo inizio: il 2011 deve diventare un anno di svolta per la Chiesa. Nell’anno trascorso tanti cristiani come mai prima d’ora hanno lasciato la Chiesa cattolica; hanno presentato all’autorità della Chiesa la disdetta della loro appartenenza o hanno privatizzato la loro vita di fede, per difenderla dall’istituzione. La Chiesa deve capire questi segnali per uscire essa stessa da strutture fossilizzate, per riconquistare nuova forza vitale e credibilità. Non si riuscirà ad attuare il rinnovamento delle strutture ecclesiali in un angosciato isolamento dalla società, ma solo con il coraggio dell’autocritica e con l’accoglienza di impulsi critici – anche dall’esterno. Questo fa parte delle lezioni dell’ultimo anno: la crisi degli abusi non sarebbe stata rielaborata in modo così deciso senza l’accompagnamento critico svolto dall’opinione pubblica. Solo attraverso una comunicazione aperta la Chiesa può riconquistare fiducia. Solo se l’immagine di Chiesa che essa ha di sé e l’immagine di Chiesa che gli altri hanno di lei non divergono, essa sarà credibile. Ci rivolgiamo a tutti coloro che non hanno ancora rinunciato a sperare in un nuovo inizio nella Chiesa e si impegnano in questo senso. Facciamo nostri anche i segnali di svolta e di dialogo, che alcuni vescovi hanno posto in questi ultimi mesi in discorsi, prediche e interviste. La Chiesa non è fine a se stessa. Essa ha la missione di annunciare a tutti gli uomini il Dio di Gesù Cristo che libera e che ama. Lo può fare solo se essa stessa è un luogo ed una testimone credibile dell’annuncio di libertà del Vangelo. Il suo parlare e il suo agire, le sue regole e le sue strutture – tutto il suo rapporto con gli uomini all’interno e all’esterno della Chiesa – derivano dall’esigenza di riconoscere e favorire la libertà degli uomini in quanto creature di Dio. Assoluto rispetto di ogni persona umana, attenzione alla libertà di coscienza, impegno per il diritto e la giustizia, solidarietà con i poveri e gli oppressi: questi sono i parametri teologici fondamentali, che derivano dall’impegno della Chiesa verso il Vangelo. In questo modo si rende concreto l’amore a Dio e al prossimo. L’orientamento verso il biblico annuncio di libertà implica un rapporto differenziato nei confronti della società moderna: da un certo punto di vista, essa è più avanti rispetto alla Chiesa, quando si tratta di riconoscimento di libertà, di maturità e di responsabilità; in questo la Chiesa può imparare, come ha già sottolineato il Concilio Vaticano II. Da un altro punto di vista, è ineludibile la critica che deriva dallo spirito evangelico nei confronti di questa società, ad esempio quando le persone vengono giudicate solo a seconda delle loro prestazioni, quando la solidarietà reciproca vienecalpestata o quando la dignità degli esseri umani non viene riconosciuta. In ogni caso però vale quanto segue: l’annuncio di libertà del Vangelo costituisce il parametro per una Chiesa credibile, per il suo agire e la sua immagine sociale. Le sfide concrete con cui la Chiesa deve confrontarsi non sono affatto nuove. E tuttavia non si riescono a vedere delle riforme che guardino al futuro. Occorre portare avanti un dialogo aperto su questo nei seguenti ambiti di problematicità.
1. Strutture di partecipazione: in tutti i campi della vita ecclesiale la partecipazione dei credenti è la pietra di paragone per la credibilità dell’annuncio di libertà del Vangelo. Conformemente all’antico principio giuridico “Ciò che riguarda tutti, deve essere deciso da tutti” occorrono più strutture sinodali a tutti i livelli della Chiesa. I credenti devono essere resi partecipi alla scelta di importanti “rappresentanti ufficiali” (vescovo, parroco). Quello che può essere deciso sul posto, lì deve essere deciso. Le decisioni devono essere trasparenti.
2. Comunità: le comunità cristiane devono essere luoghi nei quali le persone condividono beni spirituali e materiali. Ma attualmente la vita comunitaria è in declino. Sotto la pressione della mancanza di preti vengono costruite delle unità amministrative sempre più grandi – “parrocchie extralarge” – , nelle quali non possono quasi più essere vissute vicinanza e appartenenza. Si pone fine a identità storiche e a reti sociali particolarmente significative. I preti vengono “bruciati” [dall’eccesso di compiti] e finiscono per esaurirsi. I credenti restano lontani, se non viene data loro la fiducia di assumersi una corresponsabilità e di sentirsi partecipi in strutture democratiche alla direzione delle loro comunità. Il ministero ecclesiale deve servire alla vita delle comunità – non il contrario. La Chiesa ha bisogno anche di preti sposati e di donne in servizio ecclesiale.
3. Cultura del diritto: il riconoscimento di dignità e libertà di ogni essere umano si mostra appunto quando i conflitti vengono affrontati in modo equo e con rispetto reciproco. Il diritto ecclesiale merita questo nome solo se i credenti possono effettivamente far valere i loro diritti. Difesa del diritto e cultura del diritto nella Chiesa devono essere urgentemente migliorati; un primo passo in questa direzione è la creazione di una giurisdizione amministrativa ecclesiale.
4. Libertà di coscienza: Rispetto per la coscienza individuale significa porre fiducia nella capacità di decisione e di responsabilità degli uomini. Favorire e sviluppare questa capacità è anche compito della Chiesa; non deve però trasformarsi in paternalismo. Riconoscere seriamente libertà di coscienza è qualcosa che ha a che fare con l’ambito delle decisioni personali sulla vita e delle forme di vita individuale. L’alta considerazione della Chiesa per il matrimonio e per la forma di vita senza matrimonio è fuori discussione. Ma essa non impone di escludere le persone che vivono responsabilmente l’amore, la fedeltà e la cura reciproca in una unione omosessuale o come divorziati risposati.
5. Riconciliazione: la solidarietà con i peccatori presuppone di prendere sul serio il peccato al proprio interno. Un pretenzioso rigorismo morale non si confà alla Chiesa. La Chiesa non può predicare riconciliazione con Dio, senza procurare essa stessa nel suo agire i presupposti per la riconciliazione con coloro verso i quali è diventata colpevole: per violenza, per violazione del diritto, per il rovesciamento del biblico annuncio di libertà in una morale rigorosa priva di misericordia.
6. Celebrazione: la liturgia vive della partecipazione attiva di tutti i credenti. In essa devono trovare spazio le esperienze e le forme di espressione attuali. La celebrazione non deve irrigidirsi in tradizionalismo. La molteplicità culturale arricchisce la vita liturgica e non può conciliarsi con le tendenze verso una unificazione centralistica. Solo quando la celebrazione della fede accoglie concrete situazioni di vita l’annuncio della Chiesa raggiungerà le persone.
Il processo di dialogo ecclesiale iniziato può condurre alla liberazione e al cambiamento se tutte le parti coinvolte sono pronte ad affrontare i problemi impellenti. Si tratta di cercare in un libero ed equo scambio di argomentazioni le soluzioni che portino la Chiesa fuori dalla sua paralizzante autoreferenzialità. Alla tempesta dello scorso anno non può seguire alcuna pace! Nella situazione attuale questa potrebbe essere solo una pace tombale. La paura non è mai stata una buona consigliera in tempi di crisi. Cristiane e cristiani sono esortati dal Vangelo a guardare con coraggio al futuro e – sulla parola di Gesù – a camminare come Pietro sulle acque: “Perché avete così paura? È così piccola la vostra fede?”
I firmatari (143 fino al 3 febbraio):
Albus, Michael, Universität Freiburg Anzenbacher, Arno, Universität Mainz Arens, Edmund, Universität Luzern Autiero, Antonio; Universität Münster Bäumer, Franz Josef, Universität Gießen Baumgartner, Isidor, Universität Passau Bechmann, Ulrike, Universität Graz Belok, Manfred, Theologische Hochschule Chur Benk, Andreas, Pädagogische Hochschule Schwäbisch-Gmünd Bieberstein, Klaus, Universität Bamberg,
Bieberstein, Sabine, Katholische Universität Eichstätt Biesinger, Albert, Universität Tübingen Bischof, Franz Xaver, LMU München Blasberg-Kuhnke, Martina, Universität Osnabrück Böhnke, Michael, Universität Wuppertal
Bopp, Karl SDB, Phil.-Theol. Hochschule Benediktbeuern Bremer, Thomas, Universität Münster Brosseder, Johannes, Universität zu Köln Broer, Ingo, Universität Siegen
Bucher, Anton A., Universität Salzburg Collet, Giancarlo, Universität Münster Dautzenberg, Gerhard, Universität Gießen Demel, Sabine, Universität Regensburg Droesser, Gerhard, Universität Würzburg Eckholt, Margit, Universität Osnabrück Emunds, Bernhard, Phil.-Theol. Hochschule St. Georgen Ernst, Stephan, Universität Würzburg
Feiter, Reinhard, Universität Münster Franz, Albert, Universität Dresden Frevel, Christian, Universität Bochum Fröhling, Edward SAC, Phil.-Theol. Hochschule Vallendar Fuchs, Ottmar, Universität Tübingen
Fürst, Alfons, Universität Münster Gabriel, Karl, Universität Münster Garhammer, Erich, Universität Würzburg Göllner, Reinhard, Universität Bochum Görtz, Heinz-Jürgen, Universität Hannover Goertz, Stephan, Universität Mainz Grümme, Bernhard, Pädagogische Hochschule Ludwigsburg Häfner, Gerd, LMU München
Haker, Hille, Universität Frankfurt am Main, Chicago Hartmann, Richard, Theologische Fakultät Fulda Heimbach-Steins, Marianne, Universität Münster Heinz, Hanspeter, Universität Augsburg
Hemel, Ulrich, Universität Regensburg Hengsbach, Friedhelm SJ, Phil.-Theol. Hochschule St. Georgen Hilberath, Bernd-Jochen, Universität Tübingen Hilpert, Konrad, LMU München Höfer, Rudolf, Universität Graz Höhn, Hans-Joachim, Universität zu Köln Hoffmann, Johannes, Universität Frankfurt am Main
Hoffmann, Paul, Universität Bamberg Holderegger, Adrian, Universität Freiburg(Schweiz) Holzem, Andreas, Universität Tübingen Hünermann, Peter, Universität Tübingen Jäggle, Martin, Universität Wien Jorissen, Hans, Universität Bonn Kampling, Rainer, Universität Berlin Karrer, Leo, Universität Freiburg/Schweiz Kern, Walter, Pädagogische Hochschule Ludwigsburg Kessler, Hans, Universität Frankfurt am Main Kienzler, Klaus, Universität Augsburg Kirchschläger, Walter, Universität Luzern Knobloch, Stefan, OFMCap, Universität Mainz Könemann, Judith, Universität Münster Kohler-Spiegel, Helga, Pädagogische Hochschule Feldkirch/Vorarlberg Kos, Elmar, Universität Vechta Kraus, Georg, Universität Bamberg Kruip, Gerhard, Universität Mainz Kügler, Joachim, Universität Bamberg Kuhnke, Ulrich, Hochschule Osnabrück Kuld, Lothar, Pädagogische Hochschule Weingarten Ladenhauf, Karl-Heinz, Universität Graz Lang, Bernhard, Universität Paderborn Langer, Wolfgang, Perchtolsdorf Lesch, Karl Josef, Universität Vechta Loretan, Adrian, Universität Luzern Lüdicke, Klaus, Universität Münster Ludwig, Heiner, TU Darmstadt Lutterbach, Hubertus, Universität Duisburg-Essen Maier, Joachim, Schriesheim Meier, Johannes, Universität Mainz Mennekes, Friedhelm SJ, Köln Merks, Karl-Wilhelm, Bonn Mette, Norbert, Technische Universität Dortmund Michel, Andreas, Universität zu Köln Mieth, Dietmar, Universitäten Erfurt und Tübingen Missala, Heinrich, Universität Duisburg-Essen Möhring-Hesse, Matthias, Universität Vechta Mooney, Hilary, Pädagogische Hochschule Weingarten Müller, Klaus, Universität Münster Müllner, Ilse, Universität Kassel Nauer, Doris, Phil.-Theol. Hochschule Vallendar Neuner, Peter, LMU München Niederschlag, Heribert SAC, Phil.-Theol. Hochschule Vallendar Odenthal, Andreas, Universität Tübingen Ollig, Hans-Ludwig SJ, Phil.-Theol. Hochschule St. Georgen Pellegrini, Silvia, Universität Vechta Pemsel-Maier, Sabine, Pädagogische Hochschule Karlsruhe Pesch, Otto Hermann, Universität Hamburg Pock, Johann, Universität Wien Poplutz, Uta, Universität Wuppertal Porzelt, Burkard, Universität Regensburg Raske, Michael, Universität Frankfurt am Main Richter, Klemens, Universität Münster Roebben, Bert, Universität Dortmund Rotter, Hans, Universität Innsbruck Sauer, Ralph, Universität Vechta Schäper, Sabine, Katholische Fachhochschule Münster Schmälzle, Udo, Universität Münster Schmidt, Thomas M., Universität Frankfurt am Main Schmiedl, Joachim, Phil.-Theol. Hochschule Vallendar Schockenhoff, Eberhard, Universität Freiburg Scholl, Norbert, Pädagogische Hochschule Heidelberg
Schulz, Ehrenfried, LMU München Schreiber, Stefan, Universität Augsburg Schreijaeck, Thomas, Universität Frankfurt am Main Schüller, Thomas, Universität Münster Schüngel-Straumann, Helen, Universität Kassel / Basel Seeliger, Hans-Reinhard, Universität Tübingen Siller, Hermann Pius, Universität Frankfurt am Main Simon, Werner, Universität Mainz Spiegel, Egon, Universität Vechta Steinkamp, Hermann, Universität Münster Steins, Georg, Universität Osnabrück Stosch, Klaus von, Universität Paderborn Striet, Magnus, Universität Freiburg Strotmann, Angelika, Universität Paderborn Theobald, Michael, Universität Tübingen Trautmann, Franz, Pädagogische Hochschule Schwäbisch-Gmünd Trautmann, Maria, Katholische Universität Eichstätt Trocholepczy, Bernd, Universität Frankfurt am Main Vogt, Markus, LMU München Wacker, Marie-Theres, Universität Münster Wahl, Heribert, Universität Trier Walter, Peter, Universität Freiburg Weirer, Wolfgang, Universität Graz Wendel, Saskia, Universität zu Köln Wenzel, Knut, Universität Frankfurt am Main Werbick, Jürgen, Universität Münster Willers, Ulrich, Katholische Universität Eichstätt Ziebertz, Hans-Georg, Universität Würzburg Zwick, Reinhold, Universität Münster
Scorrendo da analista il documento redatto da molti teologi tedeschi – come dice il titolo: Memorandum dei teologi -, non ho faticato molto a capire la diversità inoppugnabile tra Chiesa di Roma (italiana) e Chiesa teutonica, che è impregnata sempre in distinguo particolari propri di una cultura con ampie radici luterane, pur se teoricamente le 2 chiese sono parte di un’unica Chiesa universale.
Le conoscenze teologiche giovanili, rafforzate dall’aver partecipato da attore, con altri, a diverse e notevoli tavole rotonde – negli anni in cui fui ospite per impegni personali in quel di Torino – mi sono state utili a concepire, oltre che a comprendere, le importanti e schematiche proposte del gruppo di teologi tedeschi, assimilabili a grandi linee, pur se in folto numero, a dei dissidenti (protestatari).
Vorrei però ricordare, come dico spesso pure a dei vescovi, che l’essere teologicamente ferrato è utile, ma ciò non vuol dire essere per forza un filosofo completo. Molti esponenti ecclesiastici posseggono, infatti, ciò che da decenni etichetto con la formula “monocultura da sacrestia”, spesso totalmente scollegata da altre e necessarie discipline che sono utili per fare di un uomo di Chiesa (ministro o semplice credente) un consapevole e completo, in senso lato, cittadino di questo mondo.
E appunto per questo Kant affermava che “la teologia è la più inutile delle scienze”.
Infatti, un conto è proporre teoremi idealistici religiosi e un altro è il collegarli sapientemente all’economia, alla finanza e a tutte quelle problematiche sociali che fanno parte integrante e importante del nostro mondo globalizzato. Diversamente il discorso è sempre monco e relativo, scevro dalla realtà e ancorato solo all’idealismo peripatetico.
Il documento non afferma cose sbagliate, ma cose in buona parte condivisibili. Ciò che è fuori luogo sono certe considerazioni fatte da gente che dovrebbe essere esperta ed avere nel proprio bagaglio anche la risoluzione alle varie problematiche espresse, però in perfetta sintonia con la teologia cattolica.
Perciò appunterò il mio interesse su tali incongruenze.
Il contendere trae l’origine eziologica dalla pedofilia ecclesiastica, per avventurarsi poi in una contestazione aperta e a tutto campo, pur se programmatica e propositiva, alle linee ufficiali della Chiesa Cattolica.
Sul trono di Pietro siede ora il settimo papa tedesco, considerato da tutti, in base a nazionalpopolare concetto, un papa “teologo”; mentre, in effetti, è solo un profondo e sapiente cultore della Storia della teologia. Se tutti coloro che insegnano storia della filosofia e della teologia fossero filosofi e teologi, il mondo sarebbe uno scrigno di sapienza e di sapere; ma, purtroppo, non è così. Non esisterebbero più problemi, neppure nella Chiesa.
Dal documento, pur se necessariamente stringato, si comprende pure questo: i teologi firmatari dovrebbero (il condizionale è d’obbligo dato il documento scarno) essere non teologi veri, ma solo cultori di storia della teologia. Infatti, si dichiarano “professori”. Diversamente certe affermazioni non verrebbero fatte, né sottoscritte.
La pedofilia è un antico male (vizio) antropologico umano che, se praticata da un religioso, specie se di alto grado, appare tanto più odiosa e scandalosa. Però non è un peccato solo di alcuni membri della Chiesa, bensì dell’umanità. E, seguendo alcune statistiche, pare che nella Chiesa sia molto minore che nel resto della società.
La Chiesa predica le regole etiche e morali; ma nessuna di queste è in grado di far cambiare un uomo, specie se questi ne approfitta per realizzare i propri fini e interessi. Costui, tuttavia, ha diritto alla misericordia del perdono, perciò ad essere sempre accolto se si ravvede, sia costui laico o religioso.
Si combatte il peccato, mai il peccatore!
L’annunziare il Vangelo e accogliere nel perdono il peccatore pentito è il vero compito della Chiesa: la Redenzione!
Pietro tradì per ben 3 volte Gesù in rapida successione; ciò nonostante Egli edificò su di lui la sua Chiesa (Mt 16, 18.19.
Le problematiche espresse sono reali; le deduzioni, le obbiezioni e le proposte sono superficiali e proprie di chi vede la realtà non da cittadino, ma solo da credente che si creda prediletto e illuminato.
Nel nostro mondo globalizzato, ma lo era pure prima, l’essere credente è in subordine all’essere cittadino, appunto perché il rispetto verso le ragioni altrui, quindi diverse, impone la testimonianza del proprio credere; ma non la consapevolezza che il nostro credere sia verità assoluta e l’unica perfezione solo perché si è credenti, o teologi.
“Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14) non significa essere “la” (assoluta e unica) Luce del mondo, tanto nel diritto che nella morale.
La verità non è trascendentale, ma è strettamente collegata a quelle dimensioni geometriche variando le quali si ottengono punti di vista, perciò pure di apprendimento e di concezione, totalmente diversi e talora pure opposti.
E per essere breve citerò solo il concetto di preveggenza, proprio perché questo immette, anche teologicamente, un punto geometrico di osservazione variabile, per cui la predestinazione individuale, anche biblica, viene a cadere.
Lutero affermava “pecca fortius, ama fortiter”; e pare, in alcuni punti, lo stesso punto logico di partenza del ragionamento del documento sulla coscienza e sul peccato.
Lutero, tuttavia, non credo che fosse molto ferrato in geometria, pur se conosceva le tre unità di misura geometrica: altezza, larghezza, profondità. 3 unità che sono un’unica e identica unità, ruotata in modi diversi. Se a questa semplice e plurima unità aggiungiamo il tempo, lo spazio, la velocità, la materia, la distanza, la pressione e la gravità, ben si capisce che il concetto di Dio, di Chiesa e di Società cambia in modo sostanziale.
Il punto 1 “Strutture di partecipazione” pone in stretta correlazione la partecipazione con la credibilità, come se ciò fosse vero, immettendo come conseguenza la decisionalità democratica, che ontologicamente entra in aperta collisione tra Verità della Parola e verità del credente.
Se il concetto di democrazia nella Chiesa si risolvesse solo in ciò, compresa la scelta, dalla base, di vescovo e ministro, anche se in modo partecipativo, noi non avremmo una chiesa fondata sulla testimonianza (predicazione) di Gesù, ma solo sulla democrazia anglosassone propria del neoliberismo cattolico nordamericano.
La Chiesa non è una monocrazia teologale, perciò trascendentale o verticistica, ma una perfetta democrazia teosofica, immanente al popolo di Dio, che si esplica totalmente in un Concilio. Nel quale esistono 3 tempi: quello della problematica, quello del dibattito e quello della decisione. Decisione che viene sempre presa a maggioranza semplice, perciò del 50%+1 dei padri conciliari.
La democrazia della Chiesa – ma ciò anche in una semplice democrazia sociale – impone poi a tutti di accettare le decisioni approvate e di farle proprie, appunto perché tali decisioni assumono nell’Ecclesia l’assistenza di Dio e perciò della sapienza dello Pneuma. Non accettarle e farle proprie significa essere scismatici, quindi porsi fuori dalla Chiesa stessa: essere un altro (diverso) popolo di un dio personalizzato. Proprio come la preminenza della coscienza individuale nel protestantesimo lo spacca in molteplici diversità che diventano singolarmente quasi infinite. In tal caso non si è più Popolo, ma solo setta.
La democrazia della Chiesa ha tempi lunghi, perciò non umani, appunto perché ciò e connesso al tempo dell’eternità di Dio, anche ammettendo la logica hegeliana del suo divenire. L’incedere del tempo è solo una variabile geometrica e come tale ininfluente alla Verità, che è la base e il fine del procedere della Chiesa.
La democrazia ecclesiale, se intesa come semplice partecipazione decisionale, è una degenerazione intellettuale, sia perché la scelta (voto) del colto equivarrebbe a quella dell’incolto, sia perché la Verità non è un mero fatto democratico di somma di voti, ma di profonda (perfetta) conoscenza di problematiche complesse che hanno il loro conoide naturale nell’assemblea conciliare dei padri o, in modo molto minore e localizzato, nei vari sinodi ecclesiali episcopali. Un’assemblea che pur non essendo di origine strettamente elettiva è il frutto di tanti figli del Popolo di Dio che hanno risposto consapevolmente e volontariamente ad una chiamata. Perciò raccolgono le esigenze e le istanze del Popolo e le analizzano all’interno della Chiesa nel rispetto del proprio essere pastori.
Diversamente non vi sarebbe l’esigenza di avere un vescovo o un ministro (sacerdote).
Un documento è sempre un positivo punto di contatto, perciò aperto al dialogo. Non lo è, però, quando si addossano colpe individuali, pur se di eminenti personalità, alla Chiesa tutta. Sembra che la Chiesa sia allo sbando totale, in mano ad inetti o, peggio ancora, a connivenze interessate.
In verità la Chiesa è in mano al Cristo, perciò al Padre. E ciò è bene non dimenticarlo teologicamente.
Singolare appare il pensiero sulla risoluzione della carenza di sacerdoti (punto 2: Comunità), risolvibile ipoteticamente con i preti sposati e con il ministero femminile. Singolare furbata … d’origine protestante.
Tuttavia, nel mondo protestante, il ruolo del ministero è assai diverso da quello cattolico, soprattutto perché l’eucarestia – perciò la messa – (e i sacramenti in genere) è una pura rievocazione, e non una vera consacrazione. Nel ministero protestante vi è un’assunzione di responsabilità nella comunità, ma non una donazione vocazionale definitiva.
Si lamenta l’essere “bruciati” di molti sacerdoti nella gestione di comunità sempre più grandi, dimenticando che lo “sposato” dovrà dividersi tra famiglia e ministero, essendo, di fatto, a mezzo servizio.
La chiamata al sacerdozio la vedo come un’assunzione del ministero a tempo pieno e non compatibile con l’essere sposati. Prete e coniuge sono mondi diversi e difficilmente compatibili, appunto perché sono 2 scelte primarie di vivere il cristianesimo in modo opposto. Il prete si dona alla comunità (prossimo), il coniuge alla famiglia. Cambiano finalità e impegno; e il prete si brucerebbe ancor prima oberato da altre incombenze.
I preti non si esauriscono; ma possono cadere nello sconforto, nell’abulia, nella frustrazione e nella convinzione d’essere dei falliti.
In passato ho dovuto assisterne alcuni; e, facendolo, ho capito che il problema basilare non era quello di una crisi personale, bensì quello di una carente e impropria preparazione, sia che il prete lo fosse da molto tempo, sia che fosse giovane.
Ciò che bisogna riformulare velocemente è l’iter procedurale e culturale che viene impartito al candidato nei seminari, oggi databile ancora alla consuetudine dei secoli scorsi.
Preparare un uomo ad essere sacerdote di Cristo non può prescindere della piena, totale e consapevole conoscenza delle rinunce volontarie a cui ci si sottoporrà, sia nel campo affettivo che in quello sessuale.
Un discorso molto vasto – molto confuso nel documento – è poi quello che si impernia sull’amore e sulla sessualità, divisibili i due campi diversi: in donazione e in attrazione. Cosa che i teologi firmatari non hanno né abbozzato, né espresso, né forse neppure mai percepito.
E su questo concetto si impernia il matrimonio cattolico, pur ammettendo che la società tutta (perciò pure la Chiesa) non è in grado di dare una preparazione adeguata ai futuri coniugi, proprio come avviene in molti altri campi sociali. Molto spesso ci si limita semplicemente ad unire religiosamente, o civilmente, una coppia, scambiando l’esigenza di sessualità con quel concetto lato di famiglia che impone ben altri impegni e doveri.
Si codifica un diritto, dimenticando che questo viene conquistato col dovere consapevole e volontario.
L’omosessualità non impone l’omofobia religiosa/sociale, ma neppure la codificazione che una simile devianza debba essere considerata una normalità individuale. E, di norma, questa realtà trae le sue origini dall’appartenere (crescere) in un sistema decadente e sfasato di vita sociale.
I teologi in questione forse identificano la Chiesa nella Società; ma ciò che può essere compreso e tollerato – non accettato – nella società, non lo può essere nella Chiesa, proprio perché la coscienza individuale deve sottostare non a scelte personali di comodo, ma ad una Legge divina che prescinde dalla propria scelta individuale.
Il codificare ogni comportamento umano come legale (normale) anche all’interno della Chiesa porta solo all’anarchia della coscienza individuale, davanti alla quale la Parola passa in subordine.
La Chiesa in futuro potrà fare molte aperture; ma queste non spettano né ai teologi, né ai vescovi (papa compreso), né alla democrazia di una comunità religiosa. Spettano unicamente alla vera Ecclesia, che in un Concilio e da un Concilio trae la sua illuminata Sapienza. Poi, tutti sono chiamati a partecipare ed ad essere di stimolo e di aiuto con la loro opera e con il loro pensiero.
Serve un nuovo grande concilio in grado di dare un indirizzo definitivo al mondo cattolico globalizzato!
Gli ultimi decenni hanno propugnato nella chiesa una cultura fenomenologica, fatta propria anche dagli ultimi 2 papi. E questa cultura, dedita alla sacralizzazione (spettacolarizzazione) mediatica, ha perso per strada circa i 2/3 dei fedeli, specie nel mondo occidentale.
La religione non è un divertimento, ma una scelta di vita che non ha nulla a che fare né con il modernismo, né con il tradizionalismo.
I problemi esistono e vanno affrontati, ma non con il solo personalismo verticistico.
Il problema non è un puro fenomeno che lo si risolve con legalizzazioni religiose o civili; proprio come la credibilità della Chiesa non viene affidata ad una pura e semplice visualità mediatica, ma ad una cultura consapevole e profonda in grado di analizzare, risolvere e prevenire ogni situazione degenerante sia nell’ambito religioso, sia in quello civile.
Sam Cardell
[…] la sua origine dall’analisi di un documento, facilmente visionabile cliccando sul seguente link: “Chiesa 2011: una svolta necessaria”. Per comodità, data l’ampiezza del documento, non l’ho contestualmente riportato insieme […]